sabato 8 novembre 2008

"Preveggenze" nel sapere po(i)etico di Dante

Dalle sfere di Dante all’ipersfera di Riemann

( di Antonino Contiliano)

E com’io mi rivolsi e furon tocchi / li miei da ciò che pare in quel volume[1], /

qualunque nel suo giro[2] ben si adocchi, / un punto vidi che raggiava lume /

acuto sí, che ’l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume; / […] /

distante intorno al punto un cerchio d’igne / si girava sí ratto, ch’avría vinto /

quel moto che più tosto il mondo cigne. / E questo era d’un altro circuncinto, / e quel

dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto / dal quinto il quarto, e poil il sesto dal quinto

.

Dante, Paradiso, XXVIII (13-18; 25-29)

Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad esser che non avría fallo, /

come d’arco tricordo tre saette. / […] / Concreato fu ordine e costrutto /

a le sustanze; e quelle furon cima / nel mondo in che puro atto fu produtto; /

pura potenza tenne la parte ima; / nel mezzo[3] strinse potenza con atto /

dì secoli de li angeli creati / anzi che l’altro mondo fosse fatto /[…].

Dante, Paradiso, XIX (22-24; 30-39))

Vergine madre, Figlia del Tuo Figlio / […] / Qual è ’l geomètra che tutto s’affige /

per misurar lo cerchio, e non ritrova, / […]/ l'imago al cerchio e come vi s’indova /

[…]/ A l’alta fantasia qui mancò possa; /[…].

Dante, Paradiso, XXXIII ( 1,133-134, 138, 142)

Vorrei precisare, partendo dal titolo del mio intervento, e prima di enucleare qualche concetto tematico che mi sono prefissato, almeno due parole che in certo qual modo preparano il mio testo e lo anticipano. Sono le parole preveggenza e sapere po(i)etico.

Della parola po(i)etico vorrei che se ne prendesse il senso combinato che fa della poesia un sapere della lingua e dei segni come un conoscere e costruire (poiein, fare) e un agire che modifica comportamenti, atteggiamenti e percezioni, specie quelli del senso comune.

Non c’è testo poetico che non sia produzione nella lingua – che non facciamo noi, che ci precede e ci forma storicamente – e che in quanto tale non sia testo linguistico e insieme semiotico, verbale e non verbale. E tra livelli e registri, sebbene irriducibili ai suoi meccanismi formali, sembra esserci anche un sapere plurale e dialogico tra il piano logico, grammaticale, sintattico, retorico, evolutivo e logiche particolari e plurali (oltre il dialogo tra i testi e), etc. che appartengono alla poiesis, e tale che non può essere completamente ignorato se si vuole agire il testo poetico con minore o maggiore maestria e consapevolezza.

Il testo spesso sfugge a chi lo scrive e a chi lo legge. I soggetti dicono e fanno cose di cui non sanno di sapere e fare. E nessun livello semiotico della lingua, di primo grado o di secondo grado, come è il caso della lingua letteraria e poetica in particolare, scappa a questo ordine del discorso e a un certo sperimentalismo linguistico-semiotico. Valéry ha detto che “l’autore è un’invenzione” e che ogni poesia non è la “rappresentazione” di un significato immobile ma è un’interpretazione in attesa di ricevere senso. “ L'intendere è sempre fraintendere. Che è poi un punto capitale […] anche nella riflessione di un Valéry o di un Benjamin.

In altre parole, i testi non si definiscono una volta per tutte. Sono in permanente definizione. Non stanno con la loro immobile identità nel tempo e nella storia; ma il tempo e la storia operano in essi. Appartengono al tempo che li ha prodotti e al tempo che li legge”[4].

E del sapere po(i)etico Dante, oltre a questa consapevolezza di apertura storica di cui è testimone la sua stessa lingua mescolata e rinnovata (plurilinguismo e multilinguismo) e alla sua classica eleganza – una strada antica all’interno della città nuova che la incorpora, o di frutto incerottato e sbrinato alla bisogna per gustarlo in altra stagione – è senza dubbio la lezione po(i)etica di laboratorio inesausto che vogliamo prendere. Laboratorio di sperimentalismo, di allegorismo (oggi allegoresi moderna), di plurilinguismo/multilinguismo e della dimensione della “significance” (significanza: attenzione cioè alle aperture e agli sviluppi di senso dei testi e non solo ascolto della pura ricettività del significato, o del meaning come lo chiamano i logici).

Un laboratorio cui oggi si può ancora riferimento come bussola d’orientamento. E di questo ci serviremo per qualche passo di ricerca congetturale, e circoscritto, lì dove il testo dantesco offre lo spunto.

Preveggente è, come il vocabolo “veggente”, parola più equivoca (assume significati diversi nella lingua quotidiana e in quella scritta) e polisemica che univoca (basterebbe pensare al “veggente” de l’io è un altro o dello sgretolamento dell’identità del soggetto di cui ha parlato Rimbaud nelle sue lettres du voyant tra il 13/15 maggio 1871). Non è un termine, e perciò cerchiamo di circoscriverne l’uso che ne facciamo in questo contesto.

Preveggente viene, dunque, depurato dai soliti significati di soggetto capace di prevedere il futuro come di un tempo che realizza una verità predeterminata; e non è neanche il sacerdote/profeta che attraverso certi segni delle cifre dell’oroscopo poetico sa anticipare il futuro. Nella scrittura poetica, peraltro, il passato del testo dipende dal futuro (non il futuro dal passato) o dal senso che le nuove generazioni sapranno dargli.

Se i poeti sanno quello che dicono, non sempre però sanno quello che possono dire. Nei testi dei poeti la storia e la diacronia temporale aprono orizzonti di senso che prima non c’erano.

Le persone, diceva K. Marx, dicono e anticipano cose di cui non sono consapevoli, e Walter Benjamin in una sua conclusione ha scritto che per il lettore e il critico “non si tratta di presentare le opere di letteratura nel contesto del loro tempo, ma di presentare, nel tempo in cui sorsero, il tempo che le conosce, cioè il nostro”.[5]

Ma se nel senso della significanza o del nostro tempo che visita l’opera di Dante, il presente (Benjamin) che legge il Paradiso, e ne ri-contestualizza la vita prestandole sviluppi possibili e coerenti, è quello delle congetture o denkexperiment ricollegabili ad alcuni momenti del XXXVIII, XIX e XXXIII canto del Paradiso, qui citati in esergo, che ci interessano.

Sono alcuni passi del canto XXXVIII e XIX dove Dante introduce il mondo dell’Empireo, il Primo mobile e i cerchi concentrici della gerarchia angelica, e quelli del canto XXXIII dove introduce il discorso sulla trinità divina (l’identità delle tre persone) e il riconoscimento dell’impotenza della fantasia del geometra di fronte alla quadratura del cerchio.

Sono i passi che ci mettono in condizione di pensare a Dante come il “preveggente” della logica anaclitica schizofrenica (pluralità e intreccio di logica simmetrica e asimmetrica) di Ignazio Matte Blanco e della geometria ellittica e iperbolica di Riemann o della pluralità dei modelli geometrici utili per conoscere e scrivere la configurazione del nostro universo.

Del resto non è cosa insolita che intuizioni artistico-poetiche e/o avanzate ipotesi teoriche ante litteram, e senza alcuna applicazione pratica per secoli, siano state pensate e descritte molto tempo prima che qualcun altro ne abbia approfittato o scoperto, indipendentemente, poi. È il caso, per esempio, delle ellissi e delle iperboli in età greca o della formula del carbonio che è stata anticipata dalla ricerca modellistica di Archimede. E non è una novità per nessuno che scoperte teoriche messe a punto, per esempio sempre nell’ordine della razionalità matematica, abbiano trovato applicazione anche in poesia, in astronomia o in chimica.

È il caso della proporzione di Eudosso. La proporzione trova impiego, infatti, nella metafora a quattro termini (Aristotele: la primavera sta alla giovinezza come la sera sta alla vecchiaia). Le ellissi (studiate dai matematici greci attorno al 400 a. C), nell’età moderna, sono utilizzate invece da Keplero per descrivere le irregolarità delle orbite dei pianeti o quelle curvature o zig zag delle orbite dei pianeti spiegate dalla teoria della relatività come deviazione dalla retta per effetto della materia che curva lo spazio, mentre lo spazio dice alla materia/luce come muoversi.

La configurazione simmetrica di esagoni e pentagoni, studiata da Archimede nel III secolo a. C., nel nostro tempo, invece, renderà visibile la struttura molecolare-geometrica del carbonio (una molecola fatta di sessanta atomi in combinazione simmetrica di pentagoni ed esagoni regolari). La forma, a sua volta, sarà riprodotta come disegno emblematico sui palloni di calcio di tutto il mondo.

Alla forma è stato dato anche il nome di “buckyballs”. Il neologismo è il risultato dell’unione di ball e della contrazione del nome “buckminsterfullerene[6]. Richard Buckminster Fuller è stato il designer e l’architetto americano che ha utilizzato la forma/formula del buckminsterfullerene per la costruzione di cupole geodetiche.

Se così possono andare le cose, anche nel Paradiso di Dante allora è leggibile, analogicamente, l’anticipazione della forma sferica – i cerchi delle intelligenze angeliche elaborati nella logica poetica di certa ideologia cosmo-teologica del tempo abbracciata dal fiorentino – o a “curvatura costante postiva” che riceverà invece il rigore della matematica dei modelli delle astrazioni dell’immaginazione geometrica di George Friedrich Bernhard Riemann, o altrimenti detta, secondo il nome del primo battesimo dato da Nicolaj Ivanovic Lobacevskij, “geometria immaginaria”, e poi conosciuta come geometria non euclidea.

Ma di Dante del Paradiso, grazie alla sua immaginazione logico-poetica e alla po(i)esis, possiamo pure dire che è stato un anticipatore della bi-logica dello psicoanalista cileno Ignazio Matte Blanco.

Quando nel canto XXXIII (1) del Paradiso, Dante scrive «Vergine madre, Figlia del Tuo Figlio» certamente non poteva sapere che, domani, Matte Blanco (psicoanalista), come dicono Franco Fornari e Remo Bodei, avrebbe reso possibile applicarvi la logica degli insiemi infiniti di Cantor. Un metodo logico e una logica diversi dai tradizionali processi bivalenti che servono a mettere in luce come i folli e poeti usino anche un altro tipo di logica; la logica del tertium datur che fa saltare tutti i rapporti metonimici della contiguità e della causalità gerarchica e quelli della sineddoche circa la differenza tra il tutto e le sue parti (maggiore e minore). Il tutto ha le stesse caratteristiche o qualità delle parti e viceversa; e tra causa ed effetto non esiste più nessuno rapporto di precedente e conseguente. Sembra essere in pieno “campo” quanto-relativistico, lo zoo delle particelle subnucleari e virtuali che ubbidiscono al principio indeterminazione di Heisemberg e di altre leggi ad hoc.

Come scrisse Voltaire, nella matematica della natura c’è tanta ricchezza d’immaginazione quanto nella poesia. Archimede non è meno di Omero.

In altre parole, i testi sono in permanente definizione e non hanno un significato organico chiuso e ripetibile in maniera cristallizzata. Non stanno con la loro immobile identità nel tempo e nella storia; ma il tempo e la storia operano in essi. Appartengono al tempo che li ha prodotti e al tempo che li legge, in quanto il consumatore ha un patrimonio linguistico e di conoscenze che gli consente approfondimenti ermeneutici e denkexperiment senza tuttavia alterare l’intenzione dell’autore. E l’allegoria piuttosto che rivelarvisi come strumento di un significato universale e immutabile preesistente è un’allegoresi come un connettere e dire altrimenti le cose. Un altro punto di vista che la storia temporale rende possibile connettendo concettualmente i frammenti e le rovine che il tempo ci lascia.



Qualche precisazione in nota per alcuni punti dei versi di Dante parzialmente indicati in esergo:

[1] “volume”: è la parola che sta a indicare la sfera rotante. Fissandone il “giro” (la circonferenza), insieme all’alone di luce circostante e diffuso, si vede anche il “punto” centrale (la luce divina) che irradia quella luce. Intorno a questo punto Dante vede un cerchio di fuoco rotante con una velocità maggiore (il Primo Mobile) rispetto a tutti gli altri che gli stanno attorno, e cioè gli altri cerchi che rappresentano le nove gerarchie angeliche (XXVIII, 12-29);

2giro”: è la linea che circoscrive il Primo mobile, l’estremo confine del cielo. Al di là di questo, e attraverso la sua perfetta trasparenza, Dante vede il divino punto luminoso che occupa il centro dell’Empireo, e, rotanti, i nove cerchi degli ordini angelici;

3 mezzo”: è il luogo tra la terra e l’Empireo dove presero posto i cieli, e nei quali potenza e atto, materia e forma, furono congiunti in solo nodo (“vime”).

.

[4] Guido Guglielmi, Il libro introvabile, in La parola del testo, Il Mulino, Bologna, 1993.

[5] Guido Guglielmi, Ermeneutica e critica, in La parola del testo, cit.

[6] Robert Osserman, Poesia dell’universo / l’esplorazione matematica dell’universo, TEA, Milano, 2000