sabato 8 novembre 2008

"Preveggenze" nel sapere po(i)etico di Dante

Dalle sfere di Dante all’ipersfera di Riemann

( di Antonino Contiliano)

E com’io mi rivolsi e furon tocchi / li miei da ciò che pare in quel volume[1], /

qualunque nel suo giro[2] ben si adocchi, / un punto vidi che raggiava lume /

acuto sí, che ’l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume; / […] /

distante intorno al punto un cerchio d’igne / si girava sí ratto, ch’avría vinto /

quel moto che più tosto il mondo cigne. / E questo era d’un altro circuncinto, / e quel

dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto / dal quinto il quarto, e poil il sesto dal quinto

.

Dante, Paradiso, XXVIII (13-18; 25-29)

Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad esser che non avría fallo, /

come d’arco tricordo tre saette. / […] / Concreato fu ordine e costrutto /

a le sustanze; e quelle furon cima / nel mondo in che puro atto fu produtto; /

pura potenza tenne la parte ima; / nel mezzo[3] strinse potenza con atto /

dì secoli de li angeli creati / anzi che l’altro mondo fosse fatto /[…].

Dante, Paradiso, XIX (22-24; 30-39))

Vergine madre, Figlia del Tuo Figlio / […] / Qual è ’l geomètra che tutto s’affige /

per misurar lo cerchio, e non ritrova, / […]/ l'imago al cerchio e come vi s’indova /

[…]/ A l’alta fantasia qui mancò possa; /[…].

Dante, Paradiso, XXXIII ( 1,133-134, 138, 142)

Vorrei precisare, partendo dal titolo del mio intervento, e prima di enucleare qualche concetto tematico che mi sono prefissato, almeno due parole che in certo qual modo preparano il mio testo e lo anticipano. Sono le parole preveggenza e sapere po(i)etico.

Della parola po(i)etico vorrei che se ne prendesse il senso combinato che fa della poesia un sapere della lingua e dei segni come un conoscere e costruire (poiein, fare) e un agire che modifica comportamenti, atteggiamenti e percezioni, specie quelli del senso comune.

Non c’è testo poetico che non sia produzione nella lingua – che non facciamo noi, che ci precede e ci forma storicamente – e che in quanto tale non sia testo linguistico e insieme semiotico, verbale e non verbale. E tra livelli e registri, sebbene irriducibili ai suoi meccanismi formali, sembra esserci anche un sapere plurale e dialogico tra il piano logico, grammaticale, sintattico, retorico, evolutivo e logiche particolari e plurali (oltre il dialogo tra i testi e), etc. che appartengono alla poiesis, e tale che non può essere completamente ignorato se si vuole agire il testo poetico con minore o maggiore maestria e consapevolezza.

Il testo spesso sfugge a chi lo scrive e a chi lo legge. I soggetti dicono e fanno cose di cui non sanno di sapere e fare. E nessun livello semiotico della lingua, di primo grado o di secondo grado, come è il caso della lingua letteraria e poetica in particolare, scappa a questo ordine del discorso e a un certo sperimentalismo linguistico-semiotico. Valéry ha detto che “l’autore è un’invenzione” e che ogni poesia non è la “rappresentazione” di un significato immobile ma è un’interpretazione in attesa di ricevere senso. “ L'intendere è sempre fraintendere. Che è poi un punto capitale […] anche nella riflessione di un Valéry o di un Benjamin.

In altre parole, i testi non si definiscono una volta per tutte. Sono in permanente definizione. Non stanno con la loro immobile identità nel tempo e nella storia; ma il tempo e la storia operano in essi. Appartengono al tempo che li ha prodotti e al tempo che li legge”[4].

E del sapere po(i)etico Dante, oltre a questa consapevolezza di apertura storica di cui è testimone la sua stessa lingua mescolata e rinnovata (plurilinguismo e multilinguismo) e alla sua classica eleganza – una strada antica all’interno della città nuova che la incorpora, o di frutto incerottato e sbrinato alla bisogna per gustarlo in altra stagione – è senza dubbio la lezione po(i)etica di laboratorio inesausto che vogliamo prendere. Laboratorio di sperimentalismo, di allegorismo (oggi allegoresi moderna), di plurilinguismo/multilinguismo e della dimensione della “significance” (significanza: attenzione cioè alle aperture e agli sviluppi di senso dei testi e non solo ascolto della pura ricettività del significato, o del meaning come lo chiamano i logici).

Un laboratorio cui oggi si può ancora riferimento come bussola d’orientamento. E di questo ci serviremo per qualche passo di ricerca congetturale, e circoscritto, lì dove il testo dantesco offre lo spunto.

Preveggente è, come il vocabolo “veggente”, parola più equivoca (assume significati diversi nella lingua quotidiana e in quella scritta) e polisemica che univoca (basterebbe pensare al “veggente” de l’io è un altro o dello sgretolamento dell’identità del soggetto di cui ha parlato Rimbaud nelle sue lettres du voyant tra il 13/15 maggio 1871). Non è un termine, e perciò cerchiamo di circoscriverne l’uso che ne facciamo in questo contesto.

Preveggente viene, dunque, depurato dai soliti significati di soggetto capace di prevedere il futuro come di un tempo che realizza una verità predeterminata; e non è neanche il sacerdote/profeta che attraverso certi segni delle cifre dell’oroscopo poetico sa anticipare il futuro. Nella scrittura poetica, peraltro, il passato del testo dipende dal futuro (non il futuro dal passato) o dal senso che le nuove generazioni sapranno dargli.

Se i poeti sanno quello che dicono, non sempre però sanno quello che possono dire. Nei testi dei poeti la storia e la diacronia temporale aprono orizzonti di senso che prima non c’erano.

Le persone, diceva K. Marx, dicono e anticipano cose di cui non sono consapevoli, e Walter Benjamin in una sua conclusione ha scritto che per il lettore e il critico “non si tratta di presentare le opere di letteratura nel contesto del loro tempo, ma di presentare, nel tempo in cui sorsero, il tempo che le conosce, cioè il nostro”.[5]

Ma se nel senso della significanza o del nostro tempo che visita l’opera di Dante, il presente (Benjamin) che legge il Paradiso, e ne ri-contestualizza la vita prestandole sviluppi possibili e coerenti, è quello delle congetture o denkexperiment ricollegabili ad alcuni momenti del XXXVIII, XIX e XXXIII canto del Paradiso, qui citati in esergo, che ci interessano.

Sono alcuni passi del canto XXXVIII e XIX dove Dante introduce il mondo dell’Empireo, il Primo mobile e i cerchi concentrici della gerarchia angelica, e quelli del canto XXXIII dove introduce il discorso sulla trinità divina (l’identità delle tre persone) e il riconoscimento dell’impotenza della fantasia del geometra di fronte alla quadratura del cerchio.

Sono i passi che ci mettono in condizione di pensare a Dante come il “preveggente” della logica anaclitica schizofrenica (pluralità e intreccio di logica simmetrica e asimmetrica) di Ignazio Matte Blanco e della geometria ellittica e iperbolica di Riemann o della pluralità dei modelli geometrici utili per conoscere e scrivere la configurazione del nostro universo.

Del resto non è cosa insolita che intuizioni artistico-poetiche e/o avanzate ipotesi teoriche ante litteram, e senza alcuna applicazione pratica per secoli, siano state pensate e descritte molto tempo prima che qualcun altro ne abbia approfittato o scoperto, indipendentemente, poi. È il caso, per esempio, delle ellissi e delle iperboli in età greca o della formula del carbonio che è stata anticipata dalla ricerca modellistica di Archimede. E non è una novità per nessuno che scoperte teoriche messe a punto, per esempio sempre nell’ordine della razionalità matematica, abbiano trovato applicazione anche in poesia, in astronomia o in chimica.

È il caso della proporzione di Eudosso. La proporzione trova impiego, infatti, nella metafora a quattro termini (Aristotele: la primavera sta alla giovinezza come la sera sta alla vecchiaia). Le ellissi (studiate dai matematici greci attorno al 400 a. C), nell’età moderna, sono utilizzate invece da Keplero per descrivere le irregolarità delle orbite dei pianeti o quelle curvature o zig zag delle orbite dei pianeti spiegate dalla teoria della relatività come deviazione dalla retta per effetto della materia che curva lo spazio, mentre lo spazio dice alla materia/luce come muoversi.

La configurazione simmetrica di esagoni e pentagoni, studiata da Archimede nel III secolo a. C., nel nostro tempo, invece, renderà visibile la struttura molecolare-geometrica del carbonio (una molecola fatta di sessanta atomi in combinazione simmetrica di pentagoni ed esagoni regolari). La forma, a sua volta, sarà riprodotta come disegno emblematico sui palloni di calcio di tutto il mondo.

Alla forma è stato dato anche il nome di “buckyballs”. Il neologismo è il risultato dell’unione di ball e della contrazione del nome “buckminsterfullerene[6]. Richard Buckminster Fuller è stato il designer e l’architetto americano che ha utilizzato la forma/formula del buckminsterfullerene per la costruzione di cupole geodetiche.

Se così possono andare le cose, anche nel Paradiso di Dante allora è leggibile, analogicamente, l’anticipazione della forma sferica – i cerchi delle intelligenze angeliche elaborati nella logica poetica di certa ideologia cosmo-teologica del tempo abbracciata dal fiorentino – o a “curvatura costante postiva” che riceverà invece il rigore della matematica dei modelli delle astrazioni dell’immaginazione geometrica di George Friedrich Bernhard Riemann, o altrimenti detta, secondo il nome del primo battesimo dato da Nicolaj Ivanovic Lobacevskij, “geometria immaginaria”, e poi conosciuta come geometria non euclidea.

Ma di Dante del Paradiso, grazie alla sua immaginazione logico-poetica e alla po(i)esis, possiamo pure dire che è stato un anticipatore della bi-logica dello psicoanalista cileno Ignazio Matte Blanco.

Quando nel canto XXXIII (1) del Paradiso, Dante scrive «Vergine madre, Figlia del Tuo Figlio» certamente non poteva sapere che, domani, Matte Blanco (psicoanalista), come dicono Franco Fornari e Remo Bodei, avrebbe reso possibile applicarvi la logica degli insiemi infiniti di Cantor. Un metodo logico e una logica diversi dai tradizionali processi bivalenti che servono a mettere in luce come i folli e poeti usino anche un altro tipo di logica; la logica del tertium datur che fa saltare tutti i rapporti metonimici della contiguità e della causalità gerarchica e quelli della sineddoche circa la differenza tra il tutto e le sue parti (maggiore e minore). Il tutto ha le stesse caratteristiche o qualità delle parti e viceversa; e tra causa ed effetto non esiste più nessuno rapporto di precedente e conseguente. Sembra essere in pieno “campo” quanto-relativistico, lo zoo delle particelle subnucleari e virtuali che ubbidiscono al principio indeterminazione di Heisemberg e di altre leggi ad hoc.

Come scrisse Voltaire, nella matematica della natura c’è tanta ricchezza d’immaginazione quanto nella poesia. Archimede non è meno di Omero.

In altre parole, i testi sono in permanente definizione e non hanno un significato organico chiuso e ripetibile in maniera cristallizzata. Non stanno con la loro immobile identità nel tempo e nella storia; ma il tempo e la storia operano in essi. Appartengono al tempo che li ha prodotti e al tempo che li legge, in quanto il consumatore ha un patrimonio linguistico e di conoscenze che gli consente approfondimenti ermeneutici e denkexperiment senza tuttavia alterare l’intenzione dell’autore. E l’allegoria piuttosto che rivelarvisi come strumento di un significato universale e immutabile preesistente è un’allegoresi come un connettere e dire altrimenti le cose. Un altro punto di vista che la storia temporale rende possibile connettendo concettualmente i frammenti e le rovine che il tempo ci lascia.



Qualche precisazione in nota per alcuni punti dei versi di Dante parzialmente indicati in esergo:

[1] “volume”: è la parola che sta a indicare la sfera rotante. Fissandone il “giro” (la circonferenza), insieme all’alone di luce circostante e diffuso, si vede anche il “punto” centrale (la luce divina) che irradia quella luce. Intorno a questo punto Dante vede un cerchio di fuoco rotante con una velocità maggiore (il Primo Mobile) rispetto a tutti gli altri che gli stanno attorno, e cioè gli altri cerchi che rappresentano le nove gerarchie angeliche (XXVIII, 12-29);

2giro”: è la linea che circoscrive il Primo mobile, l’estremo confine del cielo. Al di là di questo, e attraverso la sua perfetta trasparenza, Dante vede il divino punto luminoso che occupa il centro dell’Empireo, e, rotanti, i nove cerchi degli ordini angelici;

3 mezzo”: è il luogo tra la terra e l’Empireo dove presero posto i cieli, e nei quali potenza e atto, materia e forma, furono congiunti in solo nodo (“vime”).

.

[4] Guido Guglielmi, Il libro introvabile, in La parola del testo, Il Mulino, Bologna, 1993.

[5] Guido Guglielmi, Ermeneutica e critica, in La parola del testo, cit.

[6] Robert Osserman, Poesia dell’universo / l’esplorazione matematica dell’universo, TEA, Milano, 2000

domenica 19 ottobre 2008

Nino Contiliano, da Palermo a Verona

(di Giacomo Cuttone)


Il 7 ottobre il marsalese Tonino Contiliano sarà presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo che ha promosso l’iniziativa (7, 8 e 9 ottobre 2008) “I linguaggi della città: colloqui sulla città in movimento”, volta a focalizzare la ricerca sulla puntualizzazione dei “linguaggi” che hanno attraversato i territori siciliani negli ultimi decenni del secolo scorso. Tonino Contiliano è stato invitato come relatore e testimone diretto dell'Antigruppo siciliano (il movimento che tra i suoi fondatori ha avuto Rolando Certa, Gianni Decidue, Nat Scammacca, etc) e parlerà di come si sia configurato, in quegli anni, il linguaggio della poesia siciliana antigruppo (questo il titolo della sua relazione: La ripresa dell’antagonismo e il linguaggio “anti” dell’Antigruppo); farà riferimento diretto ai protagonisti del movimento stesso e intramezzerà la relazione con letture dirette dei testi. Contiliano in diversi suoi lavori saggistici, ha parlato di questo movimento “anti”; dello stesso ha fatto anche parte, e ne ha condiviso la tensione conflittuale e antagonista e i tentativi di rinnovamento linguistico. Il poeta, inoltre, sarà il 15 novembre 2008, anche, alla Biennale di Poesia di Verona, in occasione della XXII Edizione del Premio di Poesia "Lorenzo Montano". Contiliano è tra i poeti “segnalati” per una raccolta di testi poetici inediti (la silloge Ero(s)diade! La binaria dell’asiento). Tonino Contiliano è stato invitato a Verona per la celebrazione dell’avvenimento della Biennale stessa, per leggere i suoi testi e discuterne, partecipare ai lavori della sessione che prevede letture poetiche, recitazione, approfondimenti teorici, musica, videoart, filosofia. Tra i lavori ci saranno interventi e approcci argomentativi sul tema del “Dire la vita”. L’intera iniziativa porta la firma della nota rivista letterario-poetica Anterem, e del suo animatore, lo scrittore, critico e filosofo Flavio Ermini.



Tonino Contiliano: attività frenetica

giovedì 28 febbraio 2008

Contro il grigiore della contemporaneità

‘Elmotell blues, contro il grigiore plumbeo

della contemporaneità

I versi dell'ultima fatica di Antonino Contiliano sono anche una ribellione contro le tante guerre infinite e dimenticate, per affermare una cultura della non-violenza e della pace.

di Piero Di Giorgi

(Mazara, 22 febraio 2008)


Ancora una volta mi trovo in un ruolo a me non consono, quello di presentatore di un libro di poesie, anche se, ormai, ci ho fatto un pò l'abitudine, essendo stato chiamato più volte a questo compito e mi ricordo ancora l'emozione della prima volta, quando la compianta Irene Marusso volle che Le presentassi il suo libro, "Una donna frigida", al famoso caffè greco, in via dei Condotti a Roma. Com'è noto, non sono né un poeta né un critico letterario, ma solo un buon lettore di poesie e di romanzi, e, tuttavia, penso di potere dire cose utili alla conoscenza del poeta per la lunga amicizia e frequentazione, risalente ai lontani anni settanta, all'epoca degli incontri dei popoli del Mediterraneo, ad opera del compianto amico Rolando Certa.


Contiliano, credo di poter dire, è quello che si può chiamare un poeta engangé, impegnato, ma è anche un filosofo e saggista, un intellettuale critico, caratterizzato da un'ansia di verità, a cui risponde con quello che Hans Jonas chiama l'etica della responsabilità. E questo mi sembra naturale per un poeta. L'éngagement, l'impegno non può, infatti, non chiamare in causa il poeta in quanto poeta. Come diceva Rolando, "la poesia è il cuore del mondo". Ma, proprio per questo, un poeta impegnato, come Contiliano, avverte anche quel senso di sconfitta verso un mondo che, per dirla con un verso di Franco Fortini, "ci ha vinto giorno per giorno"; un senso di rabbia verso questo tempo che ci tocca di vivere, "il tempo spaginato", come lo chiama Contiliano in una sua opera precedente, in cui l'onomatopeico "spaginato", dà appunto l'idea di un fascicolo o di una serie di fogli che cadono a terra, perdendo il loro ordine e che ben raffigura questo nostro tempo frenetico, caotico, confuso, indotto dall'ideologia dominante della confusione, come la chiama Francesco Muzzioli nell'introduzione all'opera citata. Ed è da questo senso di rabbia che nasce la ribellione sarcastica espressa dalla poetica del Nostro ma anche l'impegno a ricercare nuovi orizzonti di senso. Da ciò una critica senza attenuanti contro i poteri dominanti, contro la globalizzazione neoliberista e le sue contraddizioni, che insieme all'accumulo di grandi ricchezze, genera masse di diseredati ed oppressi, di affamati ed offesi nella loro dignità, che genera guerre e lacerazioni senza fine, immaginando, invece, utopie di pace e fratellanza, nella consapevolezza che nessuna salvezza è possibile se non insieme.

Sbaglierebbe chi volesse inscrivere il poeta Tonino Contiliano nel registro della poesia ‘ufficiale'. Tonino è uno sperimentatore, che utilizza una libertà di stili, pur nel pulsare del ritmo, ma che usa un linguaggio poetico difficile, non solo perché mutuato da vari ambiti disciplinari, ma anche per il tentativo di reinventare le parole e spesso il suo rischia di restare un messaggio cifrato. Tonino sa quante volte abbiamo avuto l'occasione di discutere anche aspramente, seppure in momenti conviviali tra amici.

Pur se non è facilmente decifrabile la sua poesia, sbaglierebbe chi volesse catalogarlo all'interno del neocrepuscolarismo o addirittura tra gli epigoni del surrealismo. Tonino, al contrario, a mio modesto parere, trova, certamente, un degno posto tra gli sperimentatori linguistici, i cui prodromi possono rinvenirsi nel "Gruppo 1963 (Eco, Fortini, Sanguinetti ecc.) e soprattutto nell'Antigruppo. D'altronde, un grande come Calvino sosteneva, nelle "Lezioni americane" che la poesia ma anche la prosa sono ricerca, ricerca di espressioni, di parole, di forme.

La poetica di Contiliano, ma forse azzardo troppo, è scienza e istinto insieme, nel divenire del processo generativo del dire e dello scrivere. Ce lo dirà magari, poi, l'autore stesso. Spesso, i versi di Tonino appaiono a me come la messa su carta di immagini oniriche e, come il sogno, danno la sensazione di una produzione apparentemente caotica, senza tempo e senza spazio, tipica del modo di operare dell'inconscio, ma da cui, poi, scaturisce un ordine, che è la sintesi di una materialità cosmologica, di particelle-mondo e degli orrori di questo mondo, oltre che di mondo onirico, ma che fa intravedere un orizzonte di speranza. Le parole, che sembrano smarrirsi in labirinti cerebrali, operando una coupure con la poesia canonica, anche quella fondata su liberi versi, in verità, vengono costruendo un nuovo ordine metrico, che sembra mutuato dalla musica dodecafonica di Schömberg. Dietro un dissacratorio accostamento di cose disparate, che sembra un'enucleazione caotica, emerge una ricerca per verificare la possibilità di reinventare le parole perdute.
Tuttò ciò lo potete ritrovare anche nell'opera che oggi presentiamo: Elmotellblues, che è la terza di una trilogia, iniziata con "Compagni di strada caminando" e con "Marcha hacker". Già il titolo esprime un gioco linguistico, che è presente anche nel lavoro poetico, tra Elmo e motel, oppure Guglielmo Tell o ancora Otello da una parte, e blues, emblematico di un genere musicale imprevedibile, risultato di contaminazioni e meticciato, di spirituals e ballate euro-americane, dall'altra.
Ritornando sul discorso del poeta engagé, non c'è dubbio che il testo poetico che oggi presentiamo ha un contenuto politico, non certo nel senso della politica ufficiale di questo o quel partito. Ma cos'è che non è politico di tutto ciò che affrontiamo o di tutte le difficoltà con le quali ci scontriamo da quando ci alziamo al mattino a quando andiamo a letto la sera, compreso i sogni che facciamo o la stessa insonnia di cui milioni di persone soffrono? Troviamo, perciò, nella composizione poetica di Tonino, una ribellione e un antagonismo, espresso in forma ironica e dissacratoria, contro le tante guerre infinite e dimenticate, per affermare una cultura della non-violenza e della pace. C'è poi una critica sarcastica al consumismo totalizzante, che già Pasolini aveva definito un cataclisma antropologico, al mondo delle merci, attraverso l'uso di anafore del tipo "che ci faccio qui?... Blues della solitudine?...e giochi linguistici, in cui "merci può essere scambiato anche con il francese "merci", oppure del tipo "dico e non di-co", ripreso anche in una delle grafiche di Giacomo Cuttone "dico in-Dio",con chiaro riferimento alle coppie di fatto, o ancora "è finimondo in Vaticano prodi e brodi, mastella amanti e deretano; una critica all'uso del progresso tecnologico e dei mass-media e a tutti gli addetti alla formattazione della coscienza, una vera, e propria filippica contro il grigiore plumbeo della contemporaneità.

Inoltre, il lavoro poetico, che oggi presentiamo, si caratterizza per l'originalità e la novità sperimentativa, costituita da un testo a più voci, ma unitario perché condiviso, dove non c'è certo la rinuncia a fare sentire la "voce", ma la rinuncia al nome dell'autore dietro la "voce"; c'è la scelta dell'anonimato, non già perché non si ha il coraggio di assumersi la responsabilità della scrittura, bensì come rinuncia al singolare, all'individuale per approdare al comune, ad una voce corale. "Gli autori sono, come annota Muzzioli, operai del testo". Un'ars poetica in cui il testo è un unicum coerente, una polifonia poetica, ma che appare quasi come il prodotto di una mente poetica unica ed invece è l'espressione di un sentire comune, all'unisono, con i "compagni di strada caminando", come recita il titolo del precedente componimento. Ma la poesia dell'amico Tonino è anche poesia dotta, con richiami a Schakespeare, a Nietzsche, a Marx, a Cervantes, a Lacan.
Infine, e concludo, questa opera di Contiliano è originale anche perché è uno strumento multimediale, perché è una pubblicazione cartacea, ma anche sonora (la voce parlante è di Guglielmo Lentini), musicale ed iconica, perché illustrata dalle cinque magnifiche grafiche dell'amico Giacomo Cuttone, marsalese, ma mazarese di adozione (Pegaso-chip, Un giorno un'antenna in giro, Sottosuolo e potenza, Blues irrué, Di-co in-Dio), che bene illustrano e fanno risaltare icasticamente alcuni elementi pregnanti dell'opera di Contiliano. Insomma è un componimento che vi esorto a leggere.

mercoledì 20 febbraio 2008

Sarcasmo terminale

di Domenico Cara

Antonino Contiliano: Tempo spaginato. Chi-asmo, pp. 92, Ed. Polistampa, Firenze 2007.

In più apparenti derive, in uno stato pregettuale già avanzato e colto, Antonino Contiliano ritrova (con noi lettori del suo manifesto di poesia) se stesso, impigliato in una duttile e felice intensità di ricerca a dir poco performatica. Le radici dei suoi versi in questa nuova silloge: Tempo spaginato, iniziano il loro itinerario verso il basso (e la continuità implicita) con una morbidità imposta a ostinazione liricistica, lieve, limpida di senso e di conflitto; poi la testualità verticale dilaga per flussi complicati, nel dominio di un dettato esperto ed acuto, e su briosi o tesi intrugli di verbum critico, forse a scompiglio infinito e senza dubitazioni civili o ritmi monocordi e friabili. IL verso è avviluppato nelle sue novità libere e neo-gotiche, istanza dopo istanza; il confessarsi molteplice diventa riflessione testimoniale e insieme caustico esempio di sensi e volti del nuovo mondo, tra sospetto insidioso e una varietà (ispirativa?) che si addestrano categoricamente per capire l’irrisione e i grafi del proprio dettato e in tutto convinto del totale rien va del nostro tempo in ballo: solo arcobaleno e – intimamente – inferno sociale, politico, altro disfacimento aperto e completo. “La poesia: questo parlare all’infinito soltanto di mortalità e effimero!” (secondo Paul Celan) riaffronta l’immagine di più dissipazioni esistenziali, traumi (e chi-asmi) che impediscono la fedeltà a un diritto (e dovere) alla vita, altre interruzioni e deviate forme di possibile sogno qui arroventato in plurima voce. Antonino Contiliano, con i suoi poemetti, più che trasgressivi, a emergenza implicita, allea ai contenuti allusivi un’insoave ironia, contingenze lessicali anomale, striate di dissenso, frangenti oppositivi, collegamenti appassionati a una specificità ideologica disposta più all’invettiva che al dissidio sperimentale irresponsabile e al caos. In questo assedio emotivo e intellettuale, egli riscopre una suprema e forse istintiva necessità di ribellione e, quindi, un problema etico che diventa poesia distante da ogni altro possibile lirismo post-realista a disincanto epocale, tra spostamenti di segno e sfiducia di consolazioni, in sommovimenti estrosi o codici soltanto simbolici e dandy. “ il respiro della brezza, la tua distanza / desiderio del pensiero nell’osceno dominante / storia sdorata, spettacolo del disincanto / che brilla come una mina dell’ultima / notte, la tenda che chiude la finestra / alla banchina del sogno attraccata /fra gli acuti del faro nel porto sgomenti / per l’opposto reale sedotto e abbandonato / in panchina le armi della critica / e la quiete senza la tempesta dopo / e lo sdegno che si fuma in discoteca / …” (“La freccia del tempo, p. 31). “ quando i boschi si diradano alluvionati / e il cielo piange gli acidi della serra / e deserto umano le città sputano / barboni e mangiate di accattoni / e il mare oscura il canto della luna / e gli scogli gridano la stanchezza / e i fiumi fanno silenzio sulle sponde / e le cime reggae tra-montano la terra / d-anzando con il dolore degli indios / versato con i mandati bancari e gli uragani / e jazz gridato planano di contrazione / e scambi liberisti saccheggiano liberi / i poveri già schiavi per fame / e rapine slam tradiscono il mio Sud / e il vento è skylab di slang / e le spighe delirio di Van Gogh / fioriscono i campi di azzurro / e i confini dell’universo sparano / righe rughe finiti infiniti e foglie / gorgogliano di dissolvenza soglie faglie / dimore d’urti nel grido degli alberi” ( “Indios-rap, p. 38). Il verso informale ripartito in una serie di squarci e devianze sintattiche attraversa la topografia della negatività, la cui convulsa misura diventa gioco o snellito perturbativo, inguaribile vis di diversità e strategia di quei neologismi e macchie di irritabilità espressiva, più sofferta che adeguatezza ad un principio dada e – per più aspetti – registrazione greve di un sarcasmo terminale, attivo, versato con libera e clamorosa consapevolezza.