lunedì 26 novembre 2012

Arte (Cuttone)-Poesia (Contiliano)- “Noi Rebeldìa 2010”: Firenze (29.11.’12)-Roma (1.12.’12)

Noi Rebeldìa 2010, We are winning wing, l’ultimo libro di poesia collettiva sine nomine, – (a cura di A. Contiliano, ed. CFR, Piateda [SO] 2012, pp.78, € 10,00; copertina di Giacomo Cuttone (china: “Alle radici”) –, sarà presentato il 29 nov. 2012, ore 17, alle “Giubbe Rosse” (spazio diretto da Massimo Mori) di Firenze e l’1 dic. 2012, ore 18, al “Lavatoio Contumaciale” (Laboratorio diretto da Tomaso Binga). A Roma la presentazione del libro sarà accompagnata da una personale del pittore Giacomo Cuttone. Il Cuttone, insieme alla copertina del libro, ha infatti realizzato anche una serie di chine che, “ispirate” ai frammenti dei poeti sine nomine del libro, ibridano elemento grafico-pittorico e poesia. Una sperimentazione – che negli anni di frequentazione con i testi poetici di Antonino Contiliano – il pittore non ha mai smesso di realizzare con successo. La personale del pittore Cuttone (residente a Mazara del Vallo è originario di Petrosino), che avrà luogo all’interno del “Lavatoio Contumaciale” di Binga – sarà presentata dallo scrittore, poeta e critico Mario Lunetta. A Roma,Noi Rebeldìa 2010 ,We are winning wing sarà invece presentato dai critici Francesca Fiorletta,Francesca Medaglia eFrancesco Muzzioli (Univ. La Sapienza). A Firenze ne avranno cura il poeta ed editore Gianmario Lucini e Giuseppe Panella (Normale di Pisa). Con We arew inning wing e I volti di Lou (poesie) di Maria Teresa Ciammaruconi, il poeta ed editore Lucini inaugura anche la sua nuova collana “ibrida” (collana di poesia e altre arti, Edizione CFR). Del libro Noi Rebeldìa 2010, We are winning wing, curato dal marsalese Nino Contiliano –che ha visto la partecipazione all’esperimento sine nomine di diversi poeti (Franca Alaimo, Giuseppe Aricò, Gherib Asma, Nadia Cavalera, Massimiliano Chiamenti, Antonella Ciabatti, M. Teresa Ciammaruconi, Giovanni Commare, Ivana Conte, Antonino Contiliano, Beppe Costa, Valerio Cuccaroni, Davide Dalmiglio, Antonio Fiore, Stefano Lanuzza, Mario Lunetta, B. Maria Menna, Francesco Muzzioli, Giovanni Nuscis, L. Omar Onida, Natalia Paci, Marco Palladini, Giuseppe Panella, Emilio Piccolo, Luca Rosi, Francesco sasso, Gianluca Spitaleri e Lucio Zinna) – , già si è interessata la critica letterario-poetica (attenta ai fenomeni di rete). Riportiamo qualche frammento dell’analitico e approfondito saggio che Domenico Donatone (critico) gli ha già dedicato sulle pagine di www.retididedalus.it (rivista del sindacato scrittori italiani, nov. 2012):
“Oltre alla scomparsa dei politici, dei partiti, dobbiamo incominciare a riflettere anche sulla scomparsa dei poeti? Pare questo il tema che più sorprende e cattura, sollevato da un movimento letterario dal nome “Noi Rebeldìa 2010 – We are winning wing” (a cura di A. Contiliano), mentre intorno a noi visibili sono le macerie di un mondo che pensavamo di conoscere. [...] Personalmente penso a We are winning wing come ad un testo poetico destrutturante [...], un deposito di esperienze che dà tutte le possibilità, nonostante le differenze, di potersi incontrare su un comune denominatore/spazio di strategia, per superare il presente impresentabile, post-umanista e post-moderno. [...] Il collettivo poetico “Noi Rebeldìa 2010” è strategicamente pronto per essere un “soggetto-poetico” che respira a pieni polmoni nella trama del “fare rete”, così da arginare (sarebbe meglio dire sfuggire?) la morsa della speculazione editorial-capitalistica e pluto-finanziaria. [...] Se il poeta scompare nella rete vorrà dire che tutto il concentrato delle sue idee si sta immedesimando in qualcosa di nuovo, di ibrido (come viene ben detto in più passi nella prefazione al libro), perché ormai non si può essere una sola cosa e basta. La letteratura segue la tecnica, fa rete. [...] L’aspetto davvero fondativo del movimento poetico “Noi Rebeldìa 2010” è la sua valenza meta-politica, meta-letteraria, ampiamente condivisibile, da programma partitico e politico puro, che ribadisce, specie in questa fase storica, che bisognerebbe unirsi anziché litigarsi le briciole. [...] Il testo We are winning wing, per concludere, ha una sua dignità letteraria, esprime una vitalità che sulla pagina torna ad essere come un figlio illegittimo che vuole conoscere il padre d’origine. [...] Sulla pagina è invitante questo post-dadaismo e post-surrealismo che ricorda Tristan Tzara e André Breton, il meccanismo del montaggio e della fusione testuale, a cui i poeti di “Noi Rebeldìa 2010” (quindi “Noi Ribellione 2010”) hanno dato spazio con intelligenza non autoreferenziale. Dentro questo testo c’è anzitutto il respingimento di ogni espressione lirica, di ogni tema legato all’io, in quanto, scrive la Medaglia, «la poesia contemporanea è troppo spesso preda di un noioso e monotono io autoreferenziale, che rifugge il confronto e la relazione e si sente responsabile solo di se stesso: ciò può essere cambiato, ma solo dalla proposta di una cultura cooperativa e plurale che ponga al centro della sua attenzione il senso comune e la necessità sociale»”. Altro intervento è leggibile su http://retroguardia2.wordpress.com/2012/11/24/noi-rebeldia-2010-we-are-winning-wing-presentazioni-a-firenze-e-roma.

sabato 17 novembre 2012

Per ricordare il poeta mazarese Rolando Certa

(Rolando Certa con Cesare Zavattini) Il 16 novembre 2012 non è un giorno qualsiasi per Mazara del Vallo, la Città dove ha passato l’intera vita il poeta Rolando Certa. E non è una giornata qualunque per due motivi. Uno dei quali non è certo bello per i mazaresi. Se non fosse stato infatti per un gruppo di coraggiosi ragazzi degli Istituti Superiori (per la verità erano assenti quelli del liceo classico e scientifico: forse hanno snobbato...?), saremmo stati tutti più soli di quanto non siano i cavalieri dei mulini al vento poetici nell’era delle autostrade elettroniche e del capitalismo del mercato linguistico o della compra-vendita delle immagini “brand”. L’altro motivo – di coraggio resistenziale (degno di attenzione) e di lotta contro le ingiurie del tempo tritatutto – è il pensiero che va al lascito dei morti (specie se poeti: nel caso R. Certa) per non lasciare che i vincitori li seppelliscano due volte. Al tavolo dei lavori G. Incandela, P. Di Giorgi, Sig.ra Chirco (dirigente dell’Associazione del volontariato)
Dopo una breve ed elegante introduzione della scrittrice Incandela, la relazione del prof. Di Giorgi. Il prof. Di Giorgi, amico ed estimatore di Rolando Certa, traccia la figura e il pensiero del poeta mazarese (deceduto in Ungheria durante un suo viaggio culturale) in maniera propria e ricca di rimandi. Rimandi che hanno visto Rolando, il poeta viaggiatore e organizzatore degli “Incontri fra i popoli del Mediterraneo” a Mazara del Vallo (anni Settanta e Ottanta del secolo scorso), impegnato in azioni poetico-culturali e politico-civili “profetiche”di ampio respiro, e perciò di una attualità di tutto rispetto. Ma i suoi concittadini non sembrano essersene accorti, tranne che una sparuta minoranza (ma per questo meritevole) di appassionati per la lingua dei testi poetici e dell’opera complessiva di Rolando Certa.
A tutti i ragazzi presenti un grazie per aver testimoniato con il loro “ascolto” e partecipazione di non voler fare vincere il silenzio sul nome dell’amico e poeta mazarese Rolando Certa, morto fuori confine cittadino. A tutti i ragazzi (finalisti e premiati) un invito a non demordere dal frequentare la poesia e un “bon!” per essersi misurati (certo hanno ancora tanto tempo avanti per vagliare e rivedere l’intreccio dei propri scritti: non si nasce già potenza poetica o di altro segno...) con il linguaggio della poesia. Un salut, per loro, particolare perché abbiano più cura della scrittura poetica “propria” e d’altrui mano, sforzandosi (anche in conto proprio, se la scuola ufficiale non provvede...) di munirsi dell’attrezzatura necessaria. Il poeta palestinese, Mahmoud Darwish, disse (sintetizziamo): “chi scrive poesie” nel tempo dell’atomica (oggi si può aggiungere”: delle “armi intelligenti” e delle guerre umanitarie e della fame...) è “un rivoluzionario”. Una documentazione della manifestazione, per collage di frammenti, si trova on-line sul canale di “lucreziocaro90”( http://www.youtube.com/watch?v=QYycCYXpbvY&feature=youtu.be; http://www.youtube.com/watch?v=2xqZLOKKf3U&list=UU_sVseI-_8hVQo-74XPDDHw&index=1&feature=plcp).

“SOS” del sistema idrico marsalese

“SOS” del sistema idrico marsalese un promemoria dal sottosuolo Arriva la squadra idrotecnica in Via A. Elia n. 5! È la squadra incaricata dal Comune di Marsala per le riparazioni alla conduttura idrica del sottosuolo che rifornisce dell’oro bianco (acqua) i cittadini non morosi. È il tredici novembre 2012. Le quattordici unità abitative (Palazzo delle Rose) della Città hanno ristabilito così, finalmente, il loro punto di approvigionamento d’acqua autonomo per il fabbisogno familiare(documentazione/youtube/Lureziocaro90: http://www.youtube.com/watch?v=QelvX-kYCf4&feature=youtu.be).
Certo, la cosa, dopo le sollecitazioni dei giorni passati, è andata a buon fine. È con soddisfazione comune (lavoratori, appaltatori, personale dell’Ufficio comunale addetto, cittadini aventi diritto). I lavoratori diretti – che hanno venduto la loro forza viva per una giornata lavorativa (ma non loro stessi, diversamente da come ancora pensano e dicono molti datori di lavoro e o appaltatori: gli operai sono miei; i miei operai, etc...) – non si sono risparmiati. La riparazione tanto differita così è finalmente portata a termine con esito positivo. Riteniamo però provvisorio tale esito così come abbiamo avuto modo di sperimentare e come lo è, forse, per tanti altri nodi della Città e del territorio. La rete idrica (in gran parte è antica), usurata e mal posizionata con tutti i danni e i rischi che la cattiva dislocazione comporta. Dalla constatazione di come sono distribuite e concomitanti le varie reti dei servizi sotterranei risulta chiaro che mancano (dall’origine) di una razionale pianificazione. Tutta la rete avrebbe bisogno di essere ripristinata in toto e secondo un chiaro e “pubblico” intervento. Un piano che lasci i tracciati rinnovati in un vera e propria mappa topografica della/e stessa/e rete/i sotterranea/e. Ciò eviterebbe alle squadre addette ai lavori interventi casuali (come avviene per ora), improvvisati per la ricerca del punto di rottura e alquanto dispendiosi per la Comunità. Il sottosuolo ci racconta che la rete non gode di buona salute e sistemazione. La deposizione del nuovo tubo di allaccio convive, sebbene a breve distacco, dalla tubazione della FOGNA e da quella del GAS. Non è maldicenza la nostra! Abbiamo segnalato già la cosa, nel nostro precedente articolo (documentazione/youtube/Lureziocaro90: http://www.youtube.com/watch?v=QelvX-kYCf4&feature=youtu.be), alla responsabile attenzione dell’Amministrazione pubblica e dei suoi dirigenti (non è necessario fare nomi e cognomi). Il problema è ereditato e lasciato agli interventi di fortuna! E gli interventi di manutenzione/riparazione avvengono per di più “alla cieca” o per sondaggi casuali (i lavoratori delle squadre di soccorso non dispongono di una topografia della rete che corre nel sottosuolo). Ma oggi (come ieri) insistiamo e riproponiamo: non è ora che l’Amministrazione cittadina metta mano al pensiero e al rinnovo del sistema IDRICO INTEGRATO marsalese (per il vero DISINTEGRATO!), anziché pensare alle privatizzazioni, aumentare la tassazione e investire in iniziative di parata e consumo (gravanti su tutti, e specie sui più deboli) che non migliorano affatto la qualità della vita delle persone? Una programmazione pluriennale per quartiere o zone (seguita da partecipazione diretta di tutti i cittadini: il suolo, il sottosuolo come l’acqua ... sono beni “pubblici” e “bene comune”) – che rimettesse ordine e qualità nel sottosuolo cittadino e marsalese – potrebbe essere l’avvio di un modo più efficace e democratico di amministrare la cosa pubblica e nuova difesa “pubblica” del “bene comune”. Ci vuole coraggio e denaro? Ma dove vengono le finanze quando si spende per altre cose che non hanno la stessa importanza vitale?

I deserti “sacri” della postmodernità

Tempo di crisi, tempo di scelte fra i deserti “sacri” della postmodernità Pour être juste, c’est-à-dire pour aver sa raison d’ être, la critique doit être partiale, passionnée, politique, c’est-à-dire faite à un point de vue exclusive, mais au point de vue qui ouvre le plus d’horizont. Charles Baudelaire Il 12° “Seminario itinerante” dell’Immaginario Simbolico, ideato e curato dal marsalese e studioso jungano, dott. Alfredo Anania, organizza e offre un incontro culturale che incrocia questioni di rilievo quali “il femminile”, “l’immaginario”, “Anima” e “Animus” nell’ “epoca post-moderna”. L’incontro dal 2/4 novembre 2012 avrà luogo nei locali del Convento del Carmine (Marsala). L’arco degli invitati sul campo è molto variegato – medici, psicologi, scrittori, artisti, ecc. – come è possibile immaginare, considerata la portata composita che l’area di discussione, confronto e dialogo impone. Qui si può solo dare un scorcio selettivo e piuttosto schematico dell’ipotesi lavorativa. Lo spessore dei significati e delle interpretazioni (non certamente pacificanti il senso comune), che gireranno nel crocevia delle linee chiamate in causa, è molto intricato e intrigante. È il crocevia delle forme e del ruolo materiali e non – struttura, sistema, funzione, temporalizzazione, mezzi e strumenti della forza produttiva – dell’ordine simbolico e delle sue “personificazioni” concettuali e immaginative. Ed è qui che verte lo scontro, non solo terminologico, tra moderno e il “post” del post-moderno. La partita in giuoco è la colonizzazione esclusiva del mentale quale forza di produzione e riproduzione dell’ordine egemone. In questo ordine giocano l’ideologia e le tendenze, e il “post” si qualifica come “modernismo” (Romano Luperini, Controtempo), una variazione del moderno. Una variazione che convive anche con l’antimoderno. Dal moderno non si esce. A questo punto non guasterebbe richiamare l’attenzione anche sulle lotte e gli studi gender (di genere), sui “cultural studies” di Edward Said, sulle ricerche “archeologiche”, cambio “epistemico”, ordini del discorso, biopotere e biopolitica di Michel Foucault. Ma chiudiamo subito l’inciso. Nell’ordine dell’epoca invece o del tempo della rivoluzione elettronica e informatica, il “post” si qualifica come “periodizzazione storiografica” e si dice “postmodernità”. Come dire, intanto, che c’è un presupposto non esplicitato di cui si deve tener conto, quanto una presa di consapevolezza critica intorno all’ambiguità del “sema” post-moderno, allorquando il simbolismo in scena diventa uno spartiacque storico/temporale o astorico/intemporale. Un discrimine che rimescola, violentemente o pacificamente, i fili del tessuto che lacerano o congiungono il naturale e l’artificiale del destino dell’animale umano e del suo humus sociale. Un conflitto tra contrari o opposti sull’intersecazione del simbolo e della realtà che può essere affrontato con spirito di conciliazione o violenta lacerazione e che accomuna qualsiasi geografia umana, e della cui configurazione si occupa tanto la psicoanalisi del profondo quanto il mito. Ne va della posizione e della situazione del suo essere conflittuale singolare e collettivo o politico pur attraverso la via della dimensione culturale e psicologica; ne va della corrispondenza, proporzione, o meno del razionale e dell’irrazionale, dell’ordine e del disordine, del cosmos e del caos, del conscio (mente) e inconscio (psiche), del rapporto tra pensiero e materia, artificio e natura, interiorità ed esteriorità, femminile e maschile. Fondato e infondato, l’“immaginario” storico primigenio umano così può essere rappresentato come una lotta tra il maschile e il femminile, il mentale e l’istintuale e il chiasma che li relaziona con fin dentro il godimento erotico (De Sade, Bataille...) del piacere della vita nell’esercizio stesso della morte e della violenza “sacra”, indifferente. Una immagine astratta/concreta o simbolo/icona “meta-forico/a” dove viene trasferita l’inquietudine dei poli in tensione e non aliena da effetti tanto costruttivi che distruttivi sia per il singolo individuo quanto per un soggetto collettivo (Jung parla di un “immaginario collettivo” universale). Ma il discorso, la comprensione e l’intesa sull’universo simbolico non sono né pacifici né univoci. Simbolico è tanto il formalismo dei segni astratti (vuoti) e non contraddittori (o meno) di cui parla, per esempio, la logica scientifica in genere, quanto i simboli contraddittori ed eterogenei della “chôra semiotica” (pulsioni) che urgono il sogno o l’universo onirico (diurno e notturno) delle persone. Ma tra il simbolico del formalismo e quello della psicoanalisi dell’“immaginario simbolico” del 2/4 novembre 2012 non corre buon sangue. Anzi: uno è privo di sangue e l’altro ne è abbastanza carico come un intenso fluido dinamico fluente e fluttuante. Quello della psicoanalisi è una energetica che con-tatta conscio e inconscio, l’anima (il femminile) e l’animus (il maschile) e fa dell’immaginario (anche moderno) un luogo animato da rappresentazioni iconiche che l’immaginazione (produttiva e riproduttiva) impasta con il pensiero intellettivo e noematico. Icone peculiari di “resti arcaici” (archetipi: “immagini primordiali” e collettive ereditate, Jung) quanto costrutti verosimili e aggrovigliati che parlano ai singoli e alla collettività con il linguaggio dei simboli. I simboli che, intermediari (il“tra”), animano la vita e la storia fra il giorno e la notte, il sole (maschio) e la luna (femmina), i corpi e le ombre, la mente e il suo inconscio, la verità e la follia, il continuo e il discontinuo, l’unione e le fratture, i fenomeni/apparenze e i modelli, ecc. Un po’ come avviene – processo schizoide – nella materia subatomica o in quella grande del cosmo in espansione e divenire. Einstein ebbe a dire che se la teoria quantistica ha ragione, il mondo è folle: la teoria ha ragione, il mondo è folle (causalità, acausalità e casualità coesistono; rimuoverne una componente del gioco dei dadi non eliminerebbe il caso e la rêverie). Il simbolico del post-moderno invece è un deserto di ghiaccio: segni assolutamente astratti, sottratti persino allo scarto dell’allegoresi (il dire altrimenti – allegoria – dell’interpretare senza chiavi predeterminate) moderna. Il suo immaginario è senza immagini (lo scandalo del mondo delle immagini o del brand); è un magazzino di segni puri e crudi. Segni autoreferenziali e istantanei che, oltre la dialettica del rapporto cose-copie-cose, girano a vuoto. In questo deserto ci sono solo copie di copie. La realtà visibile e invisibile è scomparsa. Nessuna differenza coglie il rapporto tra la “cosa” e la sua rappresentazione. Identità assoluta spettrale, il post-moderno è l’epoca senza un immaginario concreto, almeno nel senso che la tradizione (anche moderna) ci ha lasciato; ovvero uno “spazio-tempo” dell’immaginazione e della temporalità storica dei linguaggi e del “novum” incessante (la novità: il tempo, la finitudine, la moda, la morte, la contingenza, la pluralità, la molteplicità, la singolarità...). Il suo immaginario è un fabbrica di immagini-“brand” (marchi commerciali) senza corpo né carne (simulacri IMMORTALI di un “simbolico” dissanguato come il mondo del film MATRIX) dell’industria post-fordista dell’immateriale e della sua ideologia emozionale. L’emozione immediata e istintuale come nel mondo del film BASIC ISTINT o del virtuale attuale e dei suoi formalismi algoritmico-digitali. Gli algoritmi che, nei grafici del “neuroimagining” e del debito pubblico sovrano, nulla sanno del dolore e dell’amore, del polemos privato e pubblico, dell’arcaico e del civile annodati e della passione che l’investe. Nella fabbrica dell’immaginario post-moderno l’immediata adesione emotiva all’ordine del presente e dei suoi segni deserti non ha niente a che vedere con l’emotivo “numinoso” di Jung. Non c’è più l’“in sé” de “il maschile”, “il femminile”, l’“Anima” e l’“Animus” ma una combinatoria atemporale di lettere e cifre. Il tempo è detemporalizzato: il presente è eterno; il passato è una morta citazione; nessuna ipotesi anticipatoria o utopica chiama il futuro (sebbene inarrestabilmente in arrivo; fortunatamente!). Le chiavi del potere della fabbrica dell’immateriale e dell’invisibile è però nelle mani dei mandarini del “post”, i quali dispongono ( proprietà) del capitale-software, controllano i modi (modus, moderno) di produzione necessari all’egemonia di classe (noti sono gli impoverimenti vecchi e nuovi, le chirurgie estetiche, le guerre umanitarie, i “debiti sovrani”...) e ideologizzano adesione magico-emozionale al sistema e ai suo “sacri” algoritmi algebrici. Paradossalmente l’immaginario postmoderno, come suggerisce la stessa psicologia “storica” del profondo (astorico-atemporale), per il suo simbolismo formalizzato ripropone una ‘religio’ di comprensione intuitivo-magico-emotiva essendo il pre-forma dell’ordine simbolico/linguistico pratico. Jung scrive: “Per «storia» non intendo il fatto che la mente si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo biologico, preistorico e inconscio della mente dell’uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella animale” (L’uomo e i suoi simboli, p. 51). In ogni caso però non si esce dal linguaggio come dal mondo e dal tempo. Ci precedono; e tuttavia non impediscono né il rimosso né il suo ritorno. Il sacro e il magico ritorna? Certo è che anche lo spettro di Marx è in giro! Altrettanto confortante è il fatto pure che il problema della soggettivazione o della desoggetivazione dei singoli e del collettivo, dei rispettivi immaginal e della loro incorporazione storica stia a cuore tanto al marxismo quanto alla psicoanalisi dinamica. Se è scelta è fra il mondo che si svolge nel tempo e il tempo nel mondo. E il tempo, come scrive Ilya Prigogine, nasce: nasce da un fondo senza fondo (nero/vuoto), come l’infinito dello zero. E se il pensiero ha come realtà immediata la lingua, “ il problema di discendere dal mondo del pensiero nel mondo reale si converte nel problema di discendere dalla lingua nella vita” (K. Marx), così come, parafrasando un pensiero di W. Benjamin, non si tratta di porre le opere “nel contesto del loro tempo, ma di presentare, nel tempo in cui sorsero, il tempo che le conosce, cioè il nostro” (Avanguardia e rivoluzione). ....il testo non soddisfa...?... un invito ad essere presenti al seminario e a partecipare!