giovedì 23 dicembre 2010

La poesia “impura” politica al "Beba do Samba"


La poesia “impura” politica di “Calpestare l’oblio” in assemblea
“Beba do Samba” (Roma)- 8 gennaio 2011

a cura di Giacomo Cuttone

L’8 gennaio 2011, i 100 poeti (A. Contiliano, R. Roversi, G. D’Elia, N. Paci, M. Cucchi, B. Costa, N. Cavalera, N. Balestrini, L. Voce, N. De Vita, L. Socci, D. Nota, F. Orecchini, M. Lenti…) di “Calpestare l’oblio” si riuniranno di nuovo al “Beba do Samba” di Roma per presentare il volume nella sua edizione (seconda) cartacea. L’opera, ora, esce infatti per i tipi di Cattedrale/Argo (in collaborazione con l’Associazione Nie Wiem). La prima presentazione (e prima edizione dei 100 poeti), nella forma dell’e-book, è stata l’8 gennaio 2010 (sempre al “Beba do Samba”).
La seconda presentazione (come un anniversario) sarà anche, e ancora, l’occasione per discutere del degrado dell’attuale sistema-mondo e dei personaggi, a dir poco di bassa lega o corta statura, che lo amministrano. In Italia sicuramente governano per aumentare il Pil dello sfascio privatistico, della disoccupazione giovanile, dell’impoverimento e dei “sans”: i senza diritti, senza casa, senza lavoro, senza conflitti antagonisti, senza poesia, senza cultura e politica alternativa, etc.
L’opera, come si sa, aveva avuto una prima edizione (elettronica) in formato e-book. I curatori sono stati Davide Nota, Fabio Orecchini e il portale di poesia “La Gru” in collaborazione con “Argo”, “L’Unità”, “Left”. Oggi, il volume, nella sua elegante edizione cartacea, oltre alla nota “Un piccolo miracolo laico” di Luig-Alberto Sanchi, porta anche una nota introduttiva di Valerio Cuccaroni.
La costante, degna di nota, è che questi cento poeti (diversi per stile e linguaggio, ma uniti nel rispetto della Costituzione italiana e dei valori della resistenza antifascista) hanno suscitato un vespaio di interventi. Non sono mancate le polemiche insulse e le invettive per il taglio antisistema del libro ad opera della famiglia di berlusconia. I testi dei poeti, infatti, non evitano né le prese di posizione “anti”, né gli scogli del pensiero critico. Del resto nessun ignora che il regime del berlusconismo, una delle più fedeli esecuzioni della bieca modernizzazione liberista di classe, e la sua banda di suonatori d’organetto, non amano né i dissensi, né la democrazia repubblicana antifascista.
Strano, però, è che personaggi come Adriano Sofri si trovino, a quanto pare, sulla stessa corsia che insegue il misconoscimento o la sottrazione di valore politico-culturale critico all’operato degli autori di “Calpestare l’oblio”.
Sì che, a questo punto, ci piace riportare la risposta, dal titolo “Quei poeti giù dal tetto che scotta. Una risposta ad Adriano Sofri”, dei curatori dell’opera (Davide Nota e Fabio Orecchini):

«Stavo bello e bravo sul tetto del mio palazzo / quando all’improvviso sei arrivata a scacciarmi con una stecca da biliardo / come fossi uno scarafaggio urlandomi che sono un buono a nulla.».

“Sono i versi di un poeta italiano, nato nel 1974 e che dal tetto del proprio palazzo si è lanciato lo scorso anno, in volo contro il mondo, salutando per sempre la vita e l’Italia.
Ci ha lasciato due importanti libri e tasselli essenziali di quella che sarà considerata la generazione dei poeti italiani del primo decennio del Duemila, che Adriano Sofri non conosce né leggerà, limitandosi a pontificare su “La Repubblica” su ciò che ignora, come se l’oblio dello spettacolo e dei media nei confronti del genere poetico possa essere considerato una forma di realtà, almeno quanto la sua adiacenza intellettuale alla rappresentazione ufficiale della comunicazione un atto di cultura e non di conformismo (il riferimento è tutto all’articolo “Quei ragazzi sul tetto di un Paese senza poeti” pubblicato su “La Repubblica” del 27 novembre 2010).
Nel gennaio del 2010 cento poeti italiani si sono uniti in assemblea confluendo nella più importante e diffusa opera di poesia civile in Italia per “Calpestare l’oblio” di un Paese senza memoria storica, cultura democratica e progettualità comune.
Hanno contestato l’esilio della poesia e dell’arte dal dibattito pubblico e interdisciplinare, denunciando la gravità della questione culturale in Italia ed anche nel piccolo ambiente del giornalismo della sinistra, dove la confusione tra i concetti di arte e spettacolo, cultura e salottino, continua a regnare sovrana.
Molti giornali italiani ospitarono, diedero voce, applaudirono o dileggiarono il caso dei “Poeti in rivolta”. Alcuni manifestanti alzarono addirittura i loro versi scritti su alcuni cartelloni durante il No-B Day di Roma, come testimoniato dal quotidiano “L’Unità”.
Viaggiando a proprie spese da tutt’Italia, i cento poeti si unirono in assemblea autogestita nel quartiere romano di San Lorenzo, assieme a studenti e lavoratori precari.
Dove guardava Adriano Sofri, in quei giorni?
Proprio lui che se solo avesse voluto avrebbe potuto rendere quell’onda spontanea di rivolta culturale e poetica una questione di urgenza politica e programmatica per l’intera Italia e la sinistra da rifare?
I poeti erano lì, giù dal tetto, perché i tetti non sono l'unico luogo per incontrarsi e far sentire la propria voce, caro Adriano Sofri, ma con gli occhi fissi ai tetti, ai tetti di percolato delle discariche campane, ai tetti distrutti dell'Aquila, ai tetti di amianto delle fabbriche dismesse, ai tetti di vergogna dei centri di detenzione sparsi per l'Italia e delle scuole fatiscenti o ridotte a baronati e feudi impenetrabili.
I poeti è bene che stiano giù dai tetti, come dalle torri, che stiano per le strade, tra la gente, che osservino e diano voce a chi voce non ce l'ha.
Questi stessi poeti, e questa volta speriamo anche qualche rappresentante del quotidiano su cui scrive, si rivedranno sabato 8 gennaio 2011, dalle ore 17, presso la sede dell’Associazione culturale “Beba do Samba” di San Lorenzo, per la seconda Assemblea nazionale di “Calpestare l’oblio”, in cui tutte le anime critiche di questo paese saranno chiamate ad intervenire, a confrontarsi, ad analizzare la situazione sociale, culturale e politica di questo avvilente momento storico, discutendo proprio dell'esclusione del Poeta, anima del dissenso, della memoria e del mutamento, dagli ambiti cruciali della cultura e della comunicazione italiane.
E sarà forse questo il modo migliore per ricordare assieme non la morte ma la vita, la poesia e le speranze di Elsa Morante, che continuano a scintillare da questi tetti grigi e cadenti d’Italia”.

mercoledì 1 dicembre 2010

Sulla scrittura poetica di Nino Contiliano



Venerdì 19 .11.2010, nella sala delle conferenze della biblioteca “Marucelliana” di Firenze, Antonino Contiliano ha presentato il suo ultimo libro di poesie Ero(S)Diade / La binaria dell’asiento, edito per i quaderni di “Collettivo R / Atahualpa, 2010”, la rivista di poesia e letteratura diretta da Luca Rosi. La presentazione dell’opera dell’autore marsalese è stata curata da Martha Canfield (Università di Firenze) e dal poeta e saggista siciliano Giovanni Commare.

Al poeta Contiliano, di ritorno a Marsala, chiediamo di riferirci, sinteticamente, com’è andato l’incontro; se Ero(S)Diade / La binaria dell’asiento ha ricevuto altre testimonianze (oltre quella già da noi pubblicata di Maria Patrizia Allotta nei giorni scorsi); se ha in corso qualche altra pubblicazione in proprio o antologica; se ci può dire quale motivazione l’ha portato a scrivere (non molto tempo fa il nostro giornale ha ospitato due articoli) sulla pittura di Toti Lombardo e di Giacomo Cuttone.
Le risposte:
La presentazione è andata oltre le mie aspettative sia per il taglio critico degli interventi dei due relatori, sia per l’attenzione qualificata del pubblico. L’avvio è stato dato dal poeta L. Rosi. Rosi ha ricordato i vecchi legami che fin dalla fine degli anni Settanta (del secolo scorso) in poi hanno tenuto Contiliano vicino al gruppo dei poeti fiorentini dell’impegno e della sperimentazione di quegli anni, e di come la rivista “CollettivoR” sia stato uno dei tramiti più forti con la poesia dei siciliani dell’Antigruppo, di cui la voce di Contiliano è stata una delle più giovani e ultime. Rosi ha anche detto della partecipazione di Contiliano alle esperienze e performances culturali e poetiche dell’“Arci/Ottovolante” fiorentine negli anni Ottanta del secolo scorso;
Giovanni Commare, percorrendo i vari testi del libro, si è intrattenuto sull’unitarietà dello stile poetico di Ero(S)Diade / La binaria dell’asiento, mettendo in rilievo il fatto che i contenuti politici ed esistenziali sono stati filtrati sia da una polifonia ritmica e sonora (accuratamente costruita facendo slittare i significanti e/o utilizzando le varie forme fono-logiche e compositive della retorica poietica), quanto da una voluta e marcata parodia allegorizzante. Un linguaggio “stravolto” e “complesso” stirato nelle sue varie offerte e fino ai gradi dell’ironia (forte e divertita) e del sarcasmo (come ha rilevato anche il poeta e critico Domenico Cara a proposito di “Tempo spaginato”, 2007);
Martha Canfield (Università di Firenze), dopo aver chiesto al poeta la lettura diretta di “Binaria, dark, Fusibile, Centrifuga”, sofferma la sua attenzione su “Centrifuga”. Uno dei testi della raccolta che relaziona l’eros con il corpo femminile e un linguaggio insolito quanto intrigante. Ma dell’eros parla anche nei suoi nessi con la politica e la religione. Come suggerisce Ero(S)Diade), infatti, l’eros si infiltra e condiziona il corpo del sistema religione-politica. Nota, per non parlare dei nostri giorni, è la storia che ci riferisce della decapitazione del “ribelle” Giovanni Battista ordinata dal re, ma voluta da Erodiade come premio dopo la danza erotica di Salomé. Come Giovanni Commare, anche la Canfield ha tenuto a far notare come, in questa raccolta poetica, l’eros sia anche la passione di Contiliano per/del linguaggio, e in particolare per quello della poesia;
tra gli interventi del pubblico, quello del critico e storico della “letteratura come romanzo generale”, Stefano Lanuzza. Il Lanuzza ha parlato di neo-barocco-linguistico, una variazione proliferante che provoca riflessioni e critica, a fronte oggi di un’usura della lingua info-emotion/intrattenimento che colpisce la capacità di pensare. E l’efflorescenza verbale e semiotica ramificata che abita i versi di Ero(S)Diade ne è la prova più evidente. Il critico ha accennato anche alla nostra attuale ricerca di poetica e di teoria che investe il soggetto nella sua soggettivazione individuale e collettiva, e alla produzione di opere di poesia collettiva o sine nomine (già realizzate o in corso d’opera come quella on line presente in www.retididedalus.it con il nome collettivo di “Noi Rebeldìa 2010”). Ha anche fatto cenno a un neo-illuminismo come ricerca di un ponte tra sapere scientifico e poetico. Del resto Ilias Prigogine dice che la scienza è un ascolto poetico della natura e della storia.
Per altre testimonianze, in attesa della prossima pubblicazione (Arenaria/2011) del saggio di ricerca di Marta Barbato (Università di Palermo), ricordo gli attestati di Franca Alaimo (Palermo) e Maria Attanasio (Caltagirone).
Franca Alaimo: “Contiliano appartiene a quella schiera di scrittori che, passando ad occhi aperti sul corpo melmoso e sanguinante del reale, non smette di nutrire prossime utopie: non è forse contenuta nello stesso titolo del suo poemetto (concepito come un attraversamento per tappe – i singoli testi titolati – del mondo di ora e di qui ) la risposta all’ “ero diade”?
Quella “s” incapsulata non chiede di essere liberata dalle sue parentesi come dalle sbarre di una gabbia? E, infatti, così facendo, chi legge trova la formula magica: l’eros. Nulla di nuovo. Nulla, se non ci occupassimo del “come”, cioè del mezzo attraverso il quale viaggiano le idee dell’autore; dei legami fra il suo stato di osservatore, realtà osservata ed il disegno complessivo della nuova mappa tracciata.
Contiliano comincia con il fare esplodere il mezzo usuale: la lingua, mescolando insieme la ferocia del ribelle e la tenerezza dell’innamorato che sogna l’altra lingua possibile, capace di traghettare l’umanità verso nuovi, migliori traguardi, così che nella distruzione scintillino già i semi della ri-costruzione. Contiliano afferra tutto il corpo della lingua , ammucchiandone le parti disperse, perse, obliate, le chiede golosamente al tempo ed allo spazio, includendo versi, sintagmi, titoli che rimandano a scrittori, saggi, film, libri e quant’altro del passato prossimo e remoto; e inoltre accogliendo termini e sintagmi d’altre lingue, specie dall’aria scientifica e mass-mediale, dell’ieri e dell’oggi.
E’ un’operazione erotica di esplorazione della lingua caratterizzata dallo stesso ardore ed accensione dei sensi di un amante che percorre senza stancarsi il corpo della donna amata. Questo mi pare il senso di almeno metà dei testi che compongono “Ero (s) diade”, ché, in essi, inventando un nuovo modello di poesia d’amore, frangendo e sommuovendo, ma senza azzerarlo, il tono lirico, Contiliano dà voce, sì, ad una storia intima d’amore; ma, con stupore, per stupore, seguendo un suo interiore tracciato, finisce con il far coincidere quel corpo di donna con quello stesso della poesia e della lingua, che si frastagliano e si moltiplicano in emozionate vibrazioni, salti di fantasia, insoliti congiungimenti, dialoghi e scontri: uno + uno e poi unità di due, nel tentativo di annullare i confini. E’, in definitiva, questo il suo modo di guardare il mondo; se l’altro smette di essere lontano, se si approssima fino al contatto più intimo, si torna all’unità.
Ma è l’utopia, l’utopia! Da tenere alta, certo, soprattutto contro quella falsa ed universalmente veicolata nella gabbia del mondo sempre più intrappolato in reti telematiche, radiotelevisive, ideologiche. Quale rete mai dovette gettare Pietro per prendere tanti pesci vivi e lucenti dal lago Tiberiade che pareva del tutto inanimato! Quale rete contro l’apparenza desolata, devitalizzata?
Per questo le maglie della rete linguistica che parlavano pure “bellamente” i farisei andavano rotte, vanno rotte, sempre! Contiliano lo fa in tutti i modi, con grandissima serietà, ma, a volte, si abbandona al gioco, si di-verte, di-verte, tentando toni diversi: l’ironico, l’umoristico, il ludico, separatamente, ma anche insieme in uno stesso testo, in una sorta di grande collage visivo-sonoro.
Ma il lettore non deve distrarsi, perché l’autore fa il gioco, a volte, di quelli stessi che critica, come a dire che nemmeno della poesia e degli scrittori bisogna fidarsi! Attento lettore, da chi ti seduce con le parole come il serpente dell’Eden! E attento, davvero, alla poesia dell’uomo! Perché in questa poesia – lui dice sempre – si parla di te, della realtà che vivi, dei disastri dell’avidità, delle aride leggi di mercato, delle eterne disuguaglianze, di sete, di fame, di sangue, di naufragi: eccoli i nuovi martiri d’oggi! Contiliano li sceglie come compagni di viaggio del suo dire, dando loro lo spazio di copertina (l’acrilico – “Isola non è arrivo 2” – è del pittore Giacomo Cottone), dove sperano disperando tra il blu del mare, il rosso che è sangue di morte, sangue di un sole che tramonta o sorge, non si sa; e il verde di una promessa, un’isola lontana, che è la loro utopia.
Dopotutto “la poesia e l’utopia sono in trappola?” si chiede Luca Rosi che sembra commentare con la sua poesia in quarta di copertina il libro dell’amico, a cui, appunto si rivolge. E la parola da ripetere con lui, con loro, è “presente!”, perché, infine, ciò che vuole dimostrare Contiliano è l’esserci, qui, ora, con le uniche armi a sua disposizione: ‘i versi e gli sberleffi’.”;
Maria Attanasio: “… grazie per Eros (d) diade, che ho letto con grande curiosità.
Non mi aspettavo infatti una testualità così destrutturante e originale; né la forza energetica del tuo plurilinguismo (dall’inglese al latino al francese: a volte tutti in uno stesso verso!); né una sperimentazione espressiva così ardita, variegata, attraversata da rime e consonanze, da corrosiva ironia e impegno, da invettiva e divertissement (Manet, la Moneda, ad esempio). Soprattutto espressivamente così deragliante rispetto rispetto a una poesia oggi sempre più seriosa e sentimentale (senza sentimento, però!), che spesso torna a far rimare cuore con amore, dittatura con scrittura”.
La spinta iniziale che mi ha motivato a scrivere sulla pittura di Toti Lombardo (“L’astrazione nella pittura di Toti Lombardo”) è stata la geometria dei suoi colori e dell’ornato artistico coniugante la storia del suo percorso, le tracce rivisitate della cultura mediterranea unitamente alla florealità coniugata con la proporzione delle forme e della logica astratta, “inventio” e immaginazione pittorica sapientemente e pazientemente curata.
Per l’opera artistica di Giacomo Cuttone, il discorso sarebbe più lungo. La sua pittura mi ha mosso e mi muove per il suo espressionismo poetico e allegorico “impegnato” (“L’espressionismo allegorico nella pittura di Giacomo Cuttone”), e perché, sintonicamente, il pittore ha sempre interpretato artisticamente i miei testi e allestito la copertina dei miei libri. Ma c’è anche una reciproca stima e consonanza sulla parola che vede (poesia) e la pittura che dice (arte). Una vecchia militanza di dissenso, di ricerca e di scavo, che attraversa l’intero suo percorso artistico, è un’altra motivazione, così come lo è anche la valenza delle sue con-figurazioni legate ai temi del “migrante” e relative incidenze culturali-politiche, e di cui “Isola non è arrivo 2” – che completa la copertina di “Ero(s)diade / La binaria dell’asiento” – è solo un esemplare.
In ordine alle mie prossime pubblicazioni di poesia, posso anticipare che a Roma (Ediz. Fermenti, nome anche della rivista con cui collaboro ormai da anni) è in corso di stampa un corpo antologico che porta anche una sezione di miei inediti raccolti sotto il titolo di CONTROPRESENTE. Di questa piccola raccolta fa parte “Ssss…indaco a Kakanìa”, il testo dedicato agli “sfarzi” dell’estate marsalese 2010.

(intervista a cura di Gaspare De Blasi, in "Marsala c'è - 30 nov. 2010)