mercoledì 2 maggio 2007

Tra le soglie del con-fine di Apollo


di Antonino Contiliano

Una nota o due parole per un libro di poesie, www.lulu.com (2006) – Ai confini di Apollo (che suona la lira sullo sfondo blu) – di Pietro Li Causi.
Dissacrazione epigrammatica, leggendo i tuoi testi, forse sarebbe dire meglio un unico testo, che articola gli eventi in cui l’allegra brigata (Boccaccio ?) , rotta e scanzonata, naviga fra i due estremi territoriali di alcuni luoghi del pianeta vita o il tempo di alcuni dei suoi “animali” umani: la “terra” – Marsala, Strasatti, Petrosino o Palermo… – e Apollo o Sirio (abitat mitico-astronomico ma anche, e forse, allegoria elegiaco-demistificante i viaggi della “lira” di Apollo rivista con le note dello sballo contemporaneo dell’ “erba” o della musica o del fantasticare con oralità fortemente espressiva siculo-baroccheggiante: “«Comu finiu cu dda rrussa?» /- gli chiese - /«Comu fu zzaccagnari /cu idda?» /«Zittuti ‘Ntria», rispose Melo,/«m’‘a vulia tagghiari!»:” ), è ciò che mi si è coagulato nel cervello, come un embolo tumorale o metastasi in circolo, seguendo la costruzione po(i)etica di Ai confini di Apollo (non di rado questo “tra” d’erranza mi ha richiamato il viaggio – lo stretto – di “Scill’e Cariddi” di H. O.):

Floriana piange. È sola.
Guarda in TV le riprese
di un documentario che pare
molto impegnato, ma in fondo, a lei,
non gliene fotte un cazzo
delle biodiversità:

La dissacrazione – cosa che mi è piaciuta assai come estraniazione di un io poetico che auto-etero-ironico (lontano, anzi lontanissimo, dal lamento consolatorio di tante lirico poetume – analizza e racconta. Scrivi anche attraverso il punteggiare (articolazione dei testi che frammentano una “storia”, e anche punteggiare nel senso quasi tecnico-grammaticale), come tua personalissima cifra scritturale, che conserva perfettamente sia l’attualizzazione di qualche intertestualità, possibile, attivamente ricreata (penso agli inserti ‘dialettali’ e a ‘Ndria di D’Arrigo di H.O.) sia la polisemia (cosa che mi è piuttosto cara, e vs l’appiattimento omologante di certa lingua di spot, acritica). Affidata alla stessa “punteggiatura” della reticenza o dell’allusione (i punti di…), questa è anche libertà data al lettore d’integrazione interpretativa e intreccio; testualità e livello di versi che accanto alle “spiegazioni” – ogni tuo testo (quasi un gioco di matriosche) è chiuso/aperto dai due “punti” – si offre come ulteriore inizio di un’altra vicenda che va a capo. Una scrittura che ritarda la morte o la fine della scrittura: le novelle di Boccaccio o di Mille e una notte…Non credo di allontanarmi troppo. Gli spazi di rimando, credo, abitano anche le “parentesi” e le “virgolette” dei tuoi testi; e sono anche l’invito a giocar con l’ambiguità che s’impossessa del contenuto semantico ivi racchiuso.

“zzaccagnari” non è solo dialetto (lingua) come “mi sono fatta Susanna” non è, credo, solo parlata d’uso: è espressività logo-sensuale, e mi ricorda, così, d’acchitto, il sentito erotico di certo vocabolario “darrighiano” come codice della sessualità occultato-rivelato (ellitticamente) e pro-dotta con stilemi “triviali” e sarcastici. Ma nel tuo caso, credo, l’osceno o l’humour espressivo linguistico è carico ironico smitizzante:

la rossa lo guarda
e ribatte «finiscila
di cuntari minchiati!»
… ‘u voi fattu ‘n pompino?»: (p. 58)
…….
«A letto con lei sarei stato un mago!»
pensò Sirio fissando
la punta dell’ago: (p. 66).

Ritmo e sonorità, tutt’altro che ‘artificio’ artistico di contorno, nel contesto della tua semiosfera (Lotmann) sono testualità segnica semantizzante di organica complementarietà.

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