giovedì 20 maggio 2010

Romanzo della letteratura siciliana


da sn (nella foto):I.Apolloni,S. Lanuzza, A. Contiliano e S. Pattavina

“Insulari” di Stefano Lanuzza alla Broadway di Palermo
di Antonino Contiliano



Presentazione di “Insulari. Romanzo della letteratura siciliana” (Stampa Alternativa) di Stefano Lanuzza alla libreria Broadway di Palermo (14 maggio 2010). È presente l’autore libro. Coordinamento di Ignazio Apolloni. Relatori Antonino Contiliano e Sergio Pattavina.

Insulari, come il Dante e gli altri, è il libro del critico e saggista Stefano Lanuzza che tratta di letteratura in termini non convenzionali. Nello specifico è la produzione letteraria di autori siciliani, e la sua particolarità è nel proporla come un “romanzo”.
“Romanzo della letteratura italiana” il primo (Dante e gli altri), “Romanzo della letteratura siciliana” il secondo (Insulari).
Una scelta predicativa piuttosto insolita, non convenzionale, quella del nostro critico di riferirsi alla letteratura come se fosse un romanzo. Si potrebbe dire, capovolgendo il rapporto tra genere e specie (come in una metonimia o in una sineddoche), che la specie con la sua differenza specifica – il romanzo – prende il posto del genere: la letteratura. Il sottoinsieme prende il posto dell’insieme generale, il quale, così, lascia la sua funzione inclusiva di contenitore delle parti.
È la letteratura come un oggetto dall’identità fissa – la letteratura “di un giorno che è sempre lo stesso” (parafrasando un pensiero di Gastone Bachelard) – che Lanuzza mette in discussione. L’identità della letteratura, come quella della filosofia, cioè doveva fare i conti e proporsi con/da altri punti di vista, se la storia dei saperi e della conoscenza dipende anche dalla temporalizzazione oltre che da un’ipotesi-funzione (Galvano della Volpe).
Così se ieri l’opera letteraria, per esempio, è stata un factum individuale all’interno dello sviluppo della coscienza nazionale unitaria (De Sanctis) o un’equivalenza intuizione-espressione (Croce), poi rispecchiamento (marxismo ortodosso) o monumento e documento (Michel Foucault) e lingua minore (Gilles Deleuze), différance (Jacques Derrida), etc., nulla impedisce di vedere e proporre la letteratura come la fenomenologia romanzata di un soggetto (metaforicamente assunto) che assume la connotazione duale del rapporto configurativo-dinamico tra contenuto e forma e della metodologia costruttiva messa all’opera. Gli oggetti di conoscenza, come nel campo del sapere scientifico non standard, sono (prima di tutto) il factum di esperimenti mentali che mettono in campo una “tecnologia” immaginativo-concettuale, sicuramente eterodossa, e un’astrazione che come tale in ogni modo deve relazionarsi al concreto della materialità quanto alla razionalità congetturale e dialettica del divenire storico.

Ogni epoca produce, in letteratura, e naturalmente non solo in questa, un peculiare linguaggio che, coi propri significanti, esprime una serie di significati essenziali. In tal senso, cambiano le forme espressive ma muta anche, sotto l’aspetto critico, l’interpretazione dei fatti. C’è una scrittura metaforica dove parole e cose, simboli e realtà, interagiscono animati da un’unica energia che li acco¬muna. C’è, ancora, un’espressione assertiva ovvero ‘ieratica’, in cui, soprattutto per la poesia, una parola pienamente significante, ‘profetica’, sostituisce un pensiero o un concetto. In tal caso, il linguaggio indica un ordine delle cose avente a che fare con una verità nominata non attraverso procedimenti di logica consequenziale ma per scorci e cortocircuiti. Abbiamo infine un linguaggio di tipo descrittivo che, escludendo l’immaginario, punta a ricalcare le parole sulle cose. Nella letteratura italiana del ‘900, con una quantità di opere che compendia quella degli altri secoli, sono contenuti tutti questi moduli; che danno luogo a una polivalenza di significati a volte interconnessi e, più spesso, distanti fra loro.

È come dire che il fine della letteratura non è di spiegare naturalisticamente il reale, ma di accrescerlo “scoprendo” il nuovo che il quotidiano e standard non permette. Come nel sapere scientifico e filosofico, anche nella letteratura, la “formalizzazione”, propria a ciascun campo conoscitivo, con la sua tipicità tecnico-metodologica, concettuale ed espressivo-comunicativa, mai stabilizzata definitivamente, stabilisce un rapporto relazionale-complementare sempre aggiornato, sì che c’è un reale che si realizza grazie a queste stesse procedure di indagine significativa.
Nei due libri di letteratura Dante e gli altri e Insulari è l’identità della letteratura come un oggetto estetico fisso e reale così che viene messo in discussione. Perché, come aveva già visto la semiologa J. Kristeva (Materia e senso), allorquando si discuteva intorno allo statuto della letteratura post-strutturalismo e post-rispecchiamento, la letterarietà è piuttosto una testualità (come ogni SINGOLA scrittura è un testo) generatrice di senso o pratica significante, in quanto “produzione e strutturazione di senso” che non solamente significante o linguaggio già dotato di un significato univoco e circolante nello scambio comunicativo e intersoggettivo.
Nella scrittura estetico-letteraria e poetica c’è un distanziamento dall’univocità e dall’omogeneizzazione semantica in quanto testualità che lavora la costante del rapporto forma contenuto con il divenire continuo e il conflitto (socio-politico quanto psico-culturale soggettivante) che attraversa la relazione e la correlazione storica.
Nessuna ipostatizzazione identitaria può dunque imprigionare e cristallizzare la predicazione semantica del termine letteratura, e non solo perché di secondo livello o “plurilinguismo” – ri-elaborazione e ri-organizzazione della lingua base. La lingua espressivo-estetica della letteratura e della poesia, se si pensa anche alle altre coordinate del contesto storico conflittuale e antagonista via via emergenti, è un continuo rivolgimento e produzione che fa interagire “tecnologia” e contenuti.
Una “lingua minore”, direbbe G. Deleuze. Minore non perché tale rispetto a lingua letteraria maggiore, ma perché ne incrina la standardizzazione con gli scarti e la sua aseità semantica complessa. È una lingua, quella letterario-poetico, infatti, in cui l’estetica è finalizzata ad un’informazione plurale e plurivoco-polifonica, polisemantica come una variazione o una differenza che si altera continuamente intanto per confliggere con il mercato mistificante di ogni uso univoco e omogeneizzato. E ciò senza far venire meno le istanze etico-politiche che possono qualificare, pur nello stile est-etico, la narrazione romanzata della scrittura letteraria (in genere) degli italiani e/o degli INSULARI.
Una letteratura come romanzo non dovrebbe sorprendere più di tanto, poi, dove altrove, in filosofia per esempio, si parla della Fenomenologia dello spirito di Hegel come di un romanzo o di una storia romanzata dello spirito.
Cos’è la storia della letteratura, allora, se non “propriamente, racconto della letterarietà, ovvero dell'autonomo valore estetico di taluni testi” (S. Lanuzza, Dante e gli altri); essa “è scelta di opere e del loro senso artistico; è, ancora, selezione di autori (dal latino auctor: dal verbo augere; che vuoi dire aumentare, aggiungere): il cui impegno è anche d’accrescere, coi loro libri, la realtà”. La realtà nella realtà della letteratura cui la forma non è di secondaria importanza rispetto al conte¬nuto, “ perché, se così fosse, qualunque scritto potrebbe chiamarsi letterario”. La forma ha invece bisogno di una sua autonomia (letteraria), sebbene non isolabile dai rapporti storici e sociali, che si manifesta con una sua fenomenologia qualificabile “come romanzo e serie di racconti”.
Non è affatto strano, allora, che Lanuzza ci presenti la letteratura come un romanzo o una narrazione dove il soggetto è la scrittura letteraria con i suoi scarti e la sua aseità semiotica contestualmente organica; un romanzo dove i vari capitoli e gli autori che li popolano, seppure nello schematismo concettuale che li connota, sono le varie realizzazioni particolari che animano la fenomenologia della scrittura di INSULARI. Esemplificando al massimo si possono prendere come funzionali a ciò i titoli dei vari capitoletti del libro (fra l’altro espressi con i colori idiolettici propri della lingua siciliana):

‘A vucca parra e 'a menti studia; ‘A vuci passa e 'a scrittura rresta; Chi si ‘nto ‘nfernu? Si rnartiddìa; Cantava accussì ‘u cirrincinciò; Mégghiu mmìdia ca pietà; Varda '’nterra e cunta ‘i stiddi; Cu òpira jùdica; Nun diri quantu sai, nun fari quantu poi; Vossiabbinidìca; Mégghiu acéddu di voscu c'acéddu di jàggia;Nun éssiri bannera ‘i campanàru; Nìuru ccu nìuru nun tingi; Quannu nesci ‘u suli nesci ppi tutti; Si babbu o babbìi?; Sùrfaru sugnu; Cca ssutta non ci chiòvi; Chi nnicch’ e nnacchi?; L’abbu ‘rriva e ‘a stima no; Cu nesci arrinésci; Unni tagghi sangu nesci; Unni cc'è meli cùrrunu ‘i muschi; Avìri un vrazzu longu e l’àutru curtu; Appréssu ‘u picca veni l’assai; Cu d’intra avi amàru non po’ sputàri duci; Munnu ha statu e munnu è; D’u fruttu si canùsci l'àrvulu; Pirchí? Pirchí dui nun fannu tri.

Sono i vari titoli di INSULARI che, come tanti personaggi (spettatori e partecipanti al tempo stesso) che Lanuzza fa parlare narrandone la fenomenologica “letterarietà” come un vero e proprio ideologema kristeviano che funziona quale unica sorgente della stessa scrittura estetica.

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