mercoledì 21 aprile 2010

Stefano Lanuzza e Cèline, il “perturbante”

Stefano Lanuzza, MALEDETTO CÉLINE UN MANUALE DEL CAOS, Stampa Alternativa, Roma 2010.


Il saggio del critico Stefano Lanuzza sullo scrittore francese Luis Ferdinand Destouches, detto Céline, ha ravvivato l’interesse e anche le polemiche intorno a uno scrittore che, certamente, non ha evitato di prestare il fianco al dissenso e alle recriminazioni per le sue nette e in equivoche posizioni antisemite, e le altre indebite accuse di “collaborazionista” che gli si attribuiscono. Lo stile violento, fortemente dissacratorio e lontano dal consueto letterario, stigmatizzato dall’argot delle banlieuses (dove il Céline esercitava il suo mestiere di medico senza farsi pagare dai poveri e dagli emarginati, ebrei o non ebrei fossero i malati e i poveri), ma filtrato in versione letteraria innovativa (alterando la sintassi, la punteggiatura, accentuando i puntini di sospensione e l’esclamazione, come nota il critico Lanuzza), non ha certamente aiutato il dottore Destouches/Céline. Violento e delirante quanto di sicuro impatto ripugnante, ha invece avuto un effetto e un’efficacia che hanno spinto più alla rivolta che non all’accettazione di questo impenitente ed emarginato dissacratore quanto rancoroso e bilioso randagio, ma sincero e spassionato (disincantato) come pochi sia nel pensiero che nella scrittura. Le repulsioni sono dunque immediate o di ragionata argomentazione.

D'altronde il lettore può seguire il percorso tracciato da Lanuzza attraverso la segnaletica che lo stesso ha lasciato in ogni parte del suo libro e sintetizzato nell’indice come:
Céline. U’autobiografia…Quasi; Lessico céliniano- Céline come ‘Nouveau Philosophe’; Opere di Céline; Louis Ferdinand Céline – à la guerre comme à la guerre; Temi céliniani; Prime edizioni francesi delle opere di L.F. Céline; Selezione bibliografica.
Ma ciò che interessa a chi scrive non è solo la travagliata esistenza dello scrittore francese, il quale ne ha fatto carburante del suo scrivere letterario rivoluzionario (rispetto al canone della distanza emotivo-passionale e dell’equilibrio arte-bello-bene-Verità richiesto allo scrittore), ma il conflitto d’identità della cultura e della civiltà occidentale-europea che il pensiero, la vita e l’opera del maledetto Céline chiama in causa. Quell’identità – MOI MÊME – che si coagula attorno ai valori e all’ideologia dell’umanesimo e delle sue varie “epoche”, e non esente da contraddizioni e paradossi irrisolti – che toccano la vita e l’identità di ciascuno – non sempre affrontati con l’onestà di un’intelligenza disinteressata e di un’etica altrettanto all’altezza dell’oggettività e della nudità che la “cosa” richiede.
Cèline è morto e sepolto per unanime consenso, e conformista, di sciatta voce perbenista e serva urbi et orbi del padrone di ogni tempo e orientamento. Una brutta “razza”, questa, di ominidi che della “dialettica servo-padrone” hegelo-marxista hanno solo apprezzato il valore di scambio della schiavitù corporeo-mentale e socio-politica, onde godere i privilegi merceologici, di sicura garanzia ideologistica dominante, in odore di vita disgustosamente acquiescente ad ogni viltà.
Impiccate Céline, allora, è la sentenza del MOI MÊME della metafisica borghese occidentale e religioso-politica umanistoide, alias, memento, mala semenza nel luogo della “banalità del male” o nella noce che racchiude quel piccolo pensiero di grigia materia neurovegetativa senza “anima” e animus. Quella assenza di cuscinetti di grasso cioè che la ben nota Hannah Arendt ha denunciato come malo pensiero acritico e decostruito svelando l’uso strumentale dell’odio antisemita quale unica causa persecutoria per chi si era macchiato di antisemitismo e genocidio semitico.
Impiccate Cèline. Impicchiamolo ancora perché è la voce insopportabile della cattiva coscienza umanistica impotente e bugiarda, dice (a se stesso e agli altri alter ego benpensanti che si esercitano in recriminazioni moralistiche e di vario genere ed essenza) il MOI MÊME dogmatico, tagliatore di teste e portavoce incallito del perbenismo religioso e politico umanistoide di questa secolarizzazione post-modernista debole quanto omicida!
IO – il MOI MÊME – non sopporto, e quindi non voglio vedere, la mia ipocrita immagine fluttuante, riflessa e complementare, a somiglianza di Dio, sputarmi addosso il fetore insopportabile che mi anima, o che mi squaderna avanti lo squallore assassino di umanistica anima burattina e ideologista impenitente. Credente impenitente, fino agli omicidi di massa e godereccia ad libitum di altre orge deliranti (questa è storia politico-capitalistica che mi qualifica non indegnamente), non sopporto che si scoperchino le fosse per farmi incontrare i corpi di chi amorevolmente, assoluto indifferente divino, ho macellato in vita e per secula seculorum dannato all’innominabilità, come l’antisemita Céline. Quel Céline che poi era solo un comunista anarchico e ribelle a qualsiasi imbrigliamento che urtasse la sua paradossalità fino a impersonarsi come un antisemita non antisemita. Infatti nessuna prova di questo presunto reato abominevole può essere prodotta avanti a un tribunale (come si legge nel libro di Lanuzza), mentre di tanti perbenisti che gironzolano per Chiese e Stati ce ne sono a iosa, ma non hanno la dignità del capro espiatorio Céline.
il MOI MÊME di questi perbenisti (pennuti pennivendoli) non riconosce, per se stesso, nessun tribunale penale o giudizio. Assoluto cacciatore di teste pensanti uccide chiunque non gli garbi, finta o vera sia l’azione del perseguitato. Il Divino Marchese (De Sade), per ricordare una analogia con il perseguitato Céline, ai suoi inquisitori e carcerieri ha sempre detto che lui non avrebbe mai fatto nessuna cosa di quello che ha scritto nei suoi capolavori di letteratura eterodossa, eretica.
Ma i vari cacciatori di teste israeliani, e affiliati, imperterriti, non hanno smesso di perseguitare gli eretici, vivi o morti. Dal dopoguerra ad oggi hanno continuato farsescamente ad usare l’antisemitismo come jus ad bellum. E i loro processi norimberghiani, che prevedono la pena capitale, continuano a tenere attiva ancora la ghigliottina per i presunti colpevoli raggiunti dall’ingiuria in base alle ‘legge del sospetto’ e per mano dell’orda adibita alla caccia delle streghe.
Colpito a morte e di ostracismo (compresa la stessa memoria – e non solo dell’autore –, come si può vedere in atto seguendo i rigurgiti anatemici in giro sulla stampa o in rete) è chiunque, propriamente o impropriamente, osi riprendere la questio del paradossale sarcasmo letterario, così colorato ed esplosivo tipico dell’argot céliniano, o osi rinverdire le memorie dissacratorie e anarco-comuniste del pensiero di Céline. Céline non faceva mistero alcuno del suo disprezzo per il moralismo borghese e la sua doppiezza cattolica, e neanche per la stupidità macellaia delle dittature totalitarie del nazi-fascismo e della deviazione criminale di Stalin, come pure per le aggressività e le volgarità gratuite di chi lo derubava e lo picchiava per strada.
La sentenza penale punitiva non risparmia neanche i suoi testimoni più documentati e attenti criticamente, i quali nulla omettono della vita dello scrittore maledetto. Sono i soggetti (senza dimenticare anche la recente pubblicazione del saggio di Piero Sanavio, la “Virtù dell’odio”) che, come Stefano Lanuzza con il suo “MALEDETTO CÉLINE-Manuale del caos”, cioè contestualizzano l’autore preso in esame nel suo tempo storico-politico e lo vagliano con la dovuta distanza critica. Non tralasciano angolo e ripostiglio che possa far luce per rendere giustizia all’ontologia esistenziale e letteraria dell’autore preso in esame, Céline. Il maledetto Céline, a Dio spiacente e ai nemici suoi. il “perturbante”, direbbe il dottor Freud, che nessuno, però, dovrebbe riesumare, ricordare.
Ogni qualvolta il suo nome torna lucidamente a mostrare e ammonire bisogna allora tacitarlo, e con lui anche chi ne ricorda e ravviva il bisogno di verità!

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