sabato 17 novembre 2012

I deserti “sacri” della postmodernità

Tempo di crisi, tempo di scelte fra i deserti “sacri” della postmodernità Pour être juste, c’est-à-dire pour aver sa raison d’ être, la critique doit être partiale, passionnée, politique, c’est-à-dire faite à un point de vue exclusive, mais au point de vue qui ouvre le plus d’horizont. Charles Baudelaire Il 12° “Seminario itinerante” dell’Immaginario Simbolico, ideato e curato dal marsalese e studioso jungano, dott. Alfredo Anania, organizza e offre un incontro culturale che incrocia questioni di rilievo quali “il femminile”, “l’immaginario”, “Anima” e “Animus” nell’ “epoca post-moderna”. L’incontro dal 2/4 novembre 2012 avrà luogo nei locali del Convento del Carmine (Marsala). L’arco degli invitati sul campo è molto variegato – medici, psicologi, scrittori, artisti, ecc. – come è possibile immaginare, considerata la portata composita che l’area di discussione, confronto e dialogo impone. Qui si può solo dare un scorcio selettivo e piuttosto schematico dell’ipotesi lavorativa. Lo spessore dei significati e delle interpretazioni (non certamente pacificanti il senso comune), che gireranno nel crocevia delle linee chiamate in causa, è molto intricato e intrigante. È il crocevia delle forme e del ruolo materiali e non – struttura, sistema, funzione, temporalizzazione, mezzi e strumenti della forza produttiva – dell’ordine simbolico e delle sue “personificazioni” concettuali e immaginative. Ed è qui che verte lo scontro, non solo terminologico, tra moderno e il “post” del post-moderno. La partita in giuoco è la colonizzazione esclusiva del mentale quale forza di produzione e riproduzione dell’ordine egemone. In questo ordine giocano l’ideologia e le tendenze, e il “post” si qualifica come “modernismo” (Romano Luperini, Controtempo), una variazione del moderno. Una variazione che convive anche con l’antimoderno. Dal moderno non si esce. A questo punto non guasterebbe richiamare l’attenzione anche sulle lotte e gli studi gender (di genere), sui “cultural studies” di Edward Said, sulle ricerche “archeologiche”, cambio “epistemico”, ordini del discorso, biopotere e biopolitica di Michel Foucault. Ma chiudiamo subito l’inciso. Nell’ordine dell’epoca invece o del tempo della rivoluzione elettronica e informatica, il “post” si qualifica come “periodizzazione storiografica” e si dice “postmodernità”. Come dire, intanto, che c’è un presupposto non esplicitato di cui si deve tener conto, quanto una presa di consapevolezza critica intorno all’ambiguità del “sema” post-moderno, allorquando il simbolismo in scena diventa uno spartiacque storico/temporale o astorico/intemporale. Un discrimine che rimescola, violentemente o pacificamente, i fili del tessuto che lacerano o congiungono il naturale e l’artificiale del destino dell’animale umano e del suo humus sociale. Un conflitto tra contrari o opposti sull’intersecazione del simbolo e della realtà che può essere affrontato con spirito di conciliazione o violenta lacerazione e che accomuna qualsiasi geografia umana, e della cui configurazione si occupa tanto la psicoanalisi del profondo quanto il mito. Ne va della posizione e della situazione del suo essere conflittuale singolare e collettivo o politico pur attraverso la via della dimensione culturale e psicologica; ne va della corrispondenza, proporzione, o meno del razionale e dell’irrazionale, dell’ordine e del disordine, del cosmos e del caos, del conscio (mente) e inconscio (psiche), del rapporto tra pensiero e materia, artificio e natura, interiorità ed esteriorità, femminile e maschile. Fondato e infondato, l’“immaginario” storico primigenio umano così può essere rappresentato come una lotta tra il maschile e il femminile, il mentale e l’istintuale e il chiasma che li relaziona con fin dentro il godimento erotico (De Sade, Bataille...) del piacere della vita nell’esercizio stesso della morte e della violenza “sacra”, indifferente. Una immagine astratta/concreta o simbolo/icona “meta-forico/a” dove viene trasferita l’inquietudine dei poli in tensione e non aliena da effetti tanto costruttivi che distruttivi sia per il singolo individuo quanto per un soggetto collettivo (Jung parla di un “immaginario collettivo” universale). Ma il discorso, la comprensione e l’intesa sull’universo simbolico non sono né pacifici né univoci. Simbolico è tanto il formalismo dei segni astratti (vuoti) e non contraddittori (o meno) di cui parla, per esempio, la logica scientifica in genere, quanto i simboli contraddittori ed eterogenei della “chôra semiotica” (pulsioni) che urgono il sogno o l’universo onirico (diurno e notturno) delle persone. Ma tra il simbolico del formalismo e quello della psicoanalisi dell’“immaginario simbolico” del 2/4 novembre 2012 non corre buon sangue. Anzi: uno è privo di sangue e l’altro ne è abbastanza carico come un intenso fluido dinamico fluente e fluttuante. Quello della psicoanalisi è una energetica che con-tatta conscio e inconscio, l’anima (il femminile) e l’animus (il maschile) e fa dell’immaginario (anche moderno) un luogo animato da rappresentazioni iconiche che l’immaginazione (produttiva e riproduttiva) impasta con il pensiero intellettivo e noematico. Icone peculiari di “resti arcaici” (archetipi: “immagini primordiali” e collettive ereditate, Jung) quanto costrutti verosimili e aggrovigliati che parlano ai singoli e alla collettività con il linguaggio dei simboli. I simboli che, intermediari (il“tra”), animano la vita e la storia fra il giorno e la notte, il sole (maschio) e la luna (femmina), i corpi e le ombre, la mente e il suo inconscio, la verità e la follia, il continuo e il discontinuo, l’unione e le fratture, i fenomeni/apparenze e i modelli, ecc. Un po’ come avviene – processo schizoide – nella materia subatomica o in quella grande del cosmo in espansione e divenire. Einstein ebbe a dire che se la teoria quantistica ha ragione, il mondo è folle: la teoria ha ragione, il mondo è folle (causalità, acausalità e casualità coesistono; rimuoverne una componente del gioco dei dadi non eliminerebbe il caso e la rêverie). Il simbolico del post-moderno invece è un deserto di ghiaccio: segni assolutamente astratti, sottratti persino allo scarto dell’allegoresi (il dire altrimenti – allegoria – dell’interpretare senza chiavi predeterminate) moderna. Il suo immaginario è senza immagini (lo scandalo del mondo delle immagini o del brand); è un magazzino di segni puri e crudi. Segni autoreferenziali e istantanei che, oltre la dialettica del rapporto cose-copie-cose, girano a vuoto. In questo deserto ci sono solo copie di copie. La realtà visibile e invisibile è scomparsa. Nessuna differenza coglie il rapporto tra la “cosa” e la sua rappresentazione. Identità assoluta spettrale, il post-moderno è l’epoca senza un immaginario concreto, almeno nel senso che la tradizione (anche moderna) ci ha lasciato; ovvero uno “spazio-tempo” dell’immaginazione e della temporalità storica dei linguaggi e del “novum” incessante (la novità: il tempo, la finitudine, la moda, la morte, la contingenza, la pluralità, la molteplicità, la singolarità...). Il suo immaginario è un fabbrica di immagini-“brand” (marchi commerciali) senza corpo né carne (simulacri IMMORTALI di un “simbolico” dissanguato come il mondo del film MATRIX) dell’industria post-fordista dell’immateriale e della sua ideologia emozionale. L’emozione immediata e istintuale come nel mondo del film BASIC ISTINT o del virtuale attuale e dei suoi formalismi algoritmico-digitali. Gli algoritmi che, nei grafici del “neuroimagining” e del debito pubblico sovrano, nulla sanno del dolore e dell’amore, del polemos privato e pubblico, dell’arcaico e del civile annodati e della passione che l’investe. Nella fabbrica dell’immaginario post-moderno l’immediata adesione emotiva all’ordine del presente e dei suoi segni deserti non ha niente a che vedere con l’emotivo “numinoso” di Jung. Non c’è più l’“in sé” de “il maschile”, “il femminile”, l’“Anima” e l’“Animus” ma una combinatoria atemporale di lettere e cifre. Il tempo è detemporalizzato: il presente è eterno; il passato è una morta citazione; nessuna ipotesi anticipatoria o utopica chiama il futuro (sebbene inarrestabilmente in arrivo; fortunatamente!). Le chiavi del potere della fabbrica dell’immateriale e dell’invisibile è però nelle mani dei mandarini del “post”, i quali dispongono ( proprietà) del capitale-software, controllano i modi (modus, moderno) di produzione necessari all’egemonia di classe (noti sono gli impoverimenti vecchi e nuovi, le chirurgie estetiche, le guerre umanitarie, i “debiti sovrani”...) e ideologizzano adesione magico-emozionale al sistema e ai suo “sacri” algoritmi algebrici. Paradossalmente l’immaginario postmoderno, come suggerisce la stessa psicologia “storica” del profondo (astorico-atemporale), per il suo simbolismo formalizzato ripropone una ‘religio’ di comprensione intuitivo-magico-emotiva essendo il pre-forma dell’ordine simbolico/linguistico pratico. Jung scrive: “Per «storia» non intendo il fatto che la mente si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo biologico, preistorico e inconscio della mente dell’uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella animale” (L’uomo e i suoi simboli, p. 51). In ogni caso però non si esce dal linguaggio come dal mondo e dal tempo. Ci precedono; e tuttavia non impediscono né il rimosso né il suo ritorno. Il sacro e il magico ritorna? Certo è che anche lo spettro di Marx è in giro! Altrettanto confortante è il fatto pure che il problema della soggettivazione o della desoggetivazione dei singoli e del collettivo, dei rispettivi immaginal e della loro incorporazione storica stia a cuore tanto al marxismo quanto alla psicoanalisi dinamica. Se è scelta è fra il mondo che si svolge nel tempo e il tempo nel mondo. E il tempo, come scrive Ilya Prigogine, nasce: nasce da un fondo senza fondo (nero/vuoto), come l’infinito dello zero. E se il pensiero ha come realtà immediata la lingua, “ il problema di discendere dal mondo del pensiero nel mondo reale si converte nel problema di discendere dalla lingua nella vita” (K. Marx), così come, parafrasando un pensiero di W. Benjamin, non si tratta di porre le opere “nel contesto del loro tempo, ma di presentare, nel tempo in cui sorsero, il tempo che le conosce, cioè il nostro” (Avanguardia e rivoluzione). ....il testo non soddisfa...?... un invito ad essere presenti al seminario e a partecipare!

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